Il 2 dicembre 1805, nel cuore dell’Europa, si svolgeva la battaglia di Austerlitz, ritenuta uno dei migliori capolavori tattici nella storia della guerra, nonché emblema del talento militare di Napoleone, non a caso abile scacchista e brillante negli studi matematici fin dalla giovinezza.
La vittoria arrise a Bonaparte nel primo anniversario della sua auto-incoronazione a Notre-Dame dove, alla presenza di Papa Pio VII, aveva cinto la sua testa e quella della sua prima moglie, Giuseppina di Beauharnais, con l’alloro imperiale, così suggellando altresì una stagione di rapporti nuovi con la Chiesa dopo i burrascosi anni della Rivoluzione. Firmato il Concordato nel 1801, Napoleone era conscio da un lato dell’importanza della religione come instrumentum regni ma, dall’altro, non intendeva certo favorire una ventata reazionaria nella sua Nazione che aveva intrapreso il cammino della laicità. Egli, allora, magistralmente decise di investirsi come nuovo imperatore dei francesi, dando le spalle al Santo Padre che era mero spettatore.
Dal dipinto di Jacques-Louis David sull’avvenimento si evince la potenza del messaggio che Bonaparte intendeva trasmettere: la sua autorità imperiale poggiava su una Volontà divina, come quella di Carlo Magno prima di lui o dei Cesari di Roma antica, tuttavia il clero e il potere temporale della Chiesa avrebbero dovuto sottostare al potere del governo che Bonaparte stesso incarnava. Prendeva forma una sorta di trinità laica i cui pilastri erano i medesimi della civiltà europea : la croce cristiana, l’autorità civile dello Stato e l’aquila romana scelta come simbolo del Primo Impero francese.
Braccio operativo degli ambiziosi progetti di Napoleone erano due: l’esercito riorganizzato nella “Grande Armée” e il Codice civile, tutt’ora vigente in Francia ed entrato in vigore il 21 marzo 1804 come primo corpus normativo moderno, volto a superare i particolarismi legali retaggio del Medioevo e, soprattutto, primo vero tentativo di uniformare giuridicamente l’Europa dai tempi del Codice Teodosiano del 439 d.C. e del Corpus Iuris Civilis giustinianeo, quest’ultimo invero applicato nel solo Impero bizantino.
Indubbio é che nel 1804, per volontà di un solo uomo, il pendolo della Storia cominciò a muoversi e non solo per via dell’incoronazione o delle riforme legislative. Difatti, Napoleone, in quell’anno fatidico, aveva ormai un’ossessione, la stessa che fu di Filippo II di Spagna nel 1587 e che sarebbe stata di Hitler nel 1940: invadere l’Inghilterra e diventare padrone dei mari. L’invincibile “Armada” del sovrano spagnolo, fervente cattolico, aveva fallito l’impresa, flagellata dalle onde e dalla pioggia, mentre i sogni di conquista di Hitler si sarebbero infranti contro la ferrea determinazione di Winston Churchill e dei giovani piloti della RAF. Napoleone aveva un piano: utilizzare le navi per fare del canale della Manica un corridoio protetto attraverso cui far transitare una flottiglia di mezzi da sbarco carichi di soldati e, all’uopo, fece ammassare migliaia di uomini sulla costa settentrionale della Francia, nei pressi di Boulogne. D’altra parte, la buona riuscita del suo progetto di invasione necessitava per l’appunto delle navi dell’ammiraglio Pierre-Charles Silvestre de Villeneuve, impossibilitato a risalire vero nord in quanto bloccato al largo di Cadice e con la marina reale britannica a presidio dello Stretto di Gibilterra. Ulteriore fattore di disturbo fu l’allora primo ministro del Regno Unito, William Pitt “il Giovane” il quale capì che il miglior modo di proteggere le sue coste fosse di spostare altrove l’attenzione di Napoleone, perciò elargì ingenti denari alla Russia e all’Austria perché gli muovessero guerra, così costituendo la Terza Coalizione. Da questo gioco diplomatico ebbe inizio l’epopea di Austerlitz e con essa la lunga marcia dell’esercito francese verso il cuore dell’Europa da ovest e di quelli austriaco e russo da est.
Gli austriaci, in ottemperanza ai patti stretti con Pitt, invasero la Baviera, alleata della Francia e proprio in questa regione ebbe luogo la celebre battaglia di Ulma. Il generale a capo dell’esercito austriaco, un nobile di nome Mack, era convinto di poter ottenere una facile vittoria, rimanendo invece spiazzato dalla rapidità degli spostamenti delle truppe francesi che accerchiarono e distrussero il nemico. Era il 20 ottobre 1805 e Napoleone, dopo aver ricevuto da Mack la spada in segno di resa, lo lasciò andare perché si recasse incontro ai russi che avanzavano a rilento da est, con a capo il Maresciallo Kutusov, e raccontasse loro della potenza dirompente dei francesi e delle loro efficaci manovre tattiche sul campo.
Bonaparte era ormai pronto ad invadere direttamente i territori dell’Impero d’Austria, sordo ai moniti del suo Ministro degli affari esteri Talleyrand che lo esortava, al contrario, a percorrere la via diplomatica, stringendo una pace separata con l’Austria stessa in modo da quietare le apprensioni dei britannici e, al contempo, isolare la Russia. Negli stessi frangenti, austriaci e russi continuavano la ritirata verso est onde evitare un nuovo scontro campale e, con la strada aperta per Vienna, già dichiarata città aperta, Napoleone vi fece ingresso trionfalmente.
Ciò, però, ancora non bastava. Egli era alla ricerca di uno scontro decisivo per sbaragliare definitivamente austriaci e russi e doveva accadere prima che entrasse nei giochi anche la Prussia con una riserva di ben 100.000 uomini. Infatti, la situazione nel complesso non era delle più favorevoli per i francesi: la vittoria ad Ulma e la presa di Vienna erano stati sicuramente un duro colpo al morale del nemico, d’altra parte l’armata russa era ancora intatta e pienamente operativa, gli austriaci combattevano nei loro territori e, come già detto, con l’imminente arrivo del contingente prussiano la Terza Coalizione avrebbe prevalso. Per giunta, nella lunga marcia da Boulogne fino a Vienna, considerando morti, feriti, dispersi e la necessità di mantenere una rete di collegamento con la madrepatria per i rifornimenti, Napoleone, rispetto ai 200.000 uomini iniziali, ne aveva persi più della metà e quelli rimasti erano fisicamente stanchi. L’atmosfera si fece ancora più cupa, quando egli venne informato da messi sopraggiunti della tragica sconfitta della marina francese nella battaglia navale di Trafalgar contro l’ammiraglio Nelson: la portata del disastro non ancora si conosceva nei dettagli, ciononostante era ormai chiaro che gli inglesi avessero ristabilito il loro completo dominio del mare e ai francesi, quindi, non restava che il continente europeo per affermare la propria grandezza. L’ora della verità non poteva essere rimandata ancora a lungo e la buona sorte, ad un certo punto, favorì Bonaparte.
Il Maresciallo Kutusov era ben consapevole che l’avversario scalpitasse per una battaglia campale e, perciò, aveva deciso fin da subito di adottare la strategia di una ritirata ordinata delle truppe, tattica cui avrebbe fatto ricorso anche nella campagna di Russia nel 1812: a differenza di un incerto scontro in campo aperto, rimandare sine die la battaglia avrebbe logorato i nervi e i mezzi dell’armata francese, molto lontana da casa e moralmente provata. Sta di fatto che la lungimiranza di Kutusov fu vanificata d’un tratto con l’arrivo del giovane zar Alessandro I, desideroso al contrario che i suoi soldati combattessero il prima possibile.
Il destino dei tre imperatori francese, russo e austriaco, ossia Napoleone, Alessandro I e Francesco II d’Asburgo Lorena, tutti e tre presenti sul posto, alla fine si giocò ad Austerlitz, nell’odierna Repubblica Ceca, a un centinaio di chilometri a nord-est di Vienna.
Il più azzeccato parallelismo potrebbe essere quello con la battaglia di Canne del 2 agosto del 216 a.C. nella Seconda Guerra Punica. Come il condottiero cartaginese che aveva condotto la Repubblica romana sull’orlo dell’abisso, Bonaparte ordì una vera e propria trappola contro i suoi nemici, facendo loro credere di essere debole per indurli ad attaccare per primi.
Anzitutto, sulla vasta area rettangolare di Austerlitz egli cedette ad austriaci e russi il controllo dell’altopiano di Pratzen al centro : del resto ogni manuale militare di rispetto riportava il controllo di una posizione sopraelevata come elemento chiave della vittoria. In secondo luogo, venne mandata una finta offerta di pace cui lo zar rispose con condizioni prevedibilmente inaccettabili per la Francia. Da ultimo, Napoleone sguarnì di proposito il lato meridionale del suo schieramento, presso i villaggi di Telnice e Sokolnice, situati sulla strada per Vienna, in modo da spingere austriaci e russi ad attaccarlo proprio in quel punto e così in effetti avvenne, alle ore 08:00 del 2 dicembre 1805. In quegli stessi attimi, a sorpresa, si diradò la nebbia e con il sole alto Bonaparte decise di far scattare la trappola, inviando le sue colonne alla conquista dell’altopiano di Pratzen, cogliendo alla sprovvista coloro i quali erano convinti di essere al sicuro su quelle alture.
I resoconti della battaglia concordano sul fatto che l’esito fu a lungo tutt’altro che scontato.
Indebolire il lato sud del fronte era stato indubbiamente un azzardo e più volte i francesi furono sul punto di cedere : uno sfondamento in corrispondenza dei villaggi di Telnice e Sokolnice avrebbe consentito ad austriaci e russi di annientare l’intera armata francese, accerchiandola da dietro per poi riconquistare Vienna. Una resistenza eroica evitò la disfatta e, una volta preso il controllo del Pratzen al centro, i francesi scesero alla carica verso sud, prendendo loro alle spalle austriaci e russi che si ritrovarono imbottigliati, mentre ancora cercavano di piegare senza successo la tenacia dei difensori di Telnice e Sokolnice. La trappola si era chiusa e contingenti superstiti scampati all’accerchiamento si diedero disperatamente alla fuga verso sud, in direzione di Vienna, attraversando laghi e paludi ghiacciate, martellati senza sosta dall’artiglieria francese che ruppe le lastre di ghiaccio, facendo così annegare moltissimi dei fuggitivi. Al calar del sole, gli occhi dello zar Alessandro erano pieni di lacrime e in una sola giornata l’assetto geopolitico dell’Europa era cambiato per sempre. A distanza di pochi mesi, il 6 agosto 1806, poco più di mille anni dopo la solenne incoronazione di Carlo Magno, Francesco II decretava la fine del Sacro Romano Impero e, quindi, veniva meno altresì il suo titolo di Imperatore romano eletto.
Tradizionalmente si considera il 476 come data della caduta dell’Impero romano con la deposizione di Romolo Augustolo ad opera di Odoacre. Del resto, l’Impero fondato da Augusto sarebbe sopravvissuto nella sua parte orientale e bizantina fino all’infausta presa di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453, alle soglie dell’Età moderna e della scoperta dell’America. O forse sarebbe più corretto spostare ulteriormente la data proprio al 1806 quando, dopo Austerlitz, Napoleone fondò la Confederazione del Reno che prese il posto del Sacro Romano Impero.
In verità, se vi è stato un ultimo Cesare, orbene questi é proprio Napoleone Bonaparte di cui il 5 maggio 2021 si festeggeranno i duecento anni dalla morte. Politico e generale, artefice del suo destino, animato dalla volontà di potenza, venerato dai soldati, fu l’ultimo sovrano a rifondare in Europa sotto il glorioso vessillo dell’aquila il più potente Impero dai tempi di Roma, unificando il destino di vari popoli a livello sociale, culturale, giuridico ed economico.
Fu un sogno cominciato ad Austerlitz e tramontato dieci anni dopo a Waterloo cui seguì l’esilio a Sant’Elena dove Napoleone trascorse i suoi ultimi e brevi anni di vita, un tragico destino per un uomo che aveva passato la sua vita in movimento, guidando eserciti da un angolo all’altro dell’Europa.
Perfetta é la definizione che diede lui il giovane Hegel, quando lo vide da lontano, poco prima che sconfiggesse i prussiani nella battaglia di Jena del 1806:
“Ho visto l’imperatore, quest’anima del mondo, uscire dalla città per andare in ricognizione. È una sensazione meravigliosa vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, seduto su un cavallo, si irradia sul mondo e lo domina”.
Dr. Jacopo Bracciale
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