Marzo è il primo mese del calendario romano istituito da Romolo, proprio in onore al padre divino Marte, dio dell’agricoltura ma, soprattutto, della guerra. Non è un caso che questo mese sia stato inserito in un periodo di passaggio tra inverno e primavera. Infatti con l’allungarsi delle giornate e il lieve aumento delle temperature, riprendevano a Roma i lavori nei campi e la preparazione militare alla guerra (solitamente interrotta durante i mesi più freddi). Le esercitazioni militari cominciavano già alla fine di Febbraio con gli Equirria, festività in onore di Marte che si protraeva fino al 14 Marzo, in cui soldati e cavalli venivano addestrati alle manovre militari che di li a poco avrebbero dovuto compiere.
Marte non è una divinità autoctona Romana ma, come per molte divinità, risulta essere una traslazione dell’olimpo greco a Roma. Nello specifico il suo corrispettivo greco era Ares, dio molto temuto e rispettato, raffigurato tipicamente su un carro trainato da cavalli immortali, adornato da un’armatura bronzea e armato di lancia.
Tuttavia Marte a Roma assunse un ruolo molto più importante del suo corrispettivo greco, proprio perché, secondo la leggenda, dalla sua unione con Rea Silvia nacquero Romolo e Remo fondatori dell’Urbe. Inoltre, al contrario dell’impulsiva natura caotica di Ares, Marte era percepito come una divinità più complessa e articolata, di natura composta e giudiziosa, insomma non un mero “guerrafondaio”.
In relazione alla sua natura guerriera ma allo stesso tempo riflessiva, Marte era un riferimento nell’iniziazione dei giovani romani e una guida alla condotta dei soldati in guerra. Era un monito al coraggio nelle imprese militari e nella vita quotidiana, per il raggiungimento del bene superiore ossia la difesa e la gloria di Roma.
Possiamo dire che valutando la figura di Marte da un punto di vista psicodinamico, questi rappresentava una grossa spinta al superamento di timori e incertezze militari, e per paura del non ottenere il compiacimento di quest’ultimo, si era protratti verso coraggio e azione, di conseguenza spesso verso la vittoria.
Difatti non sono solo i numeri in guerra a portare alla vittoria, e storicamente abbiamo tantissimi esempi rispetto a questa affermazione, basti solo pensare agli Spartani alle Termopili. L’elemento altrettanto importante, pertanto, risulta essere l’animo dei soldati, ossia quanto i soldati siano disposti a perdere in guerra, e quindi il livello di coscienza e consapevolezza di fronte alla morte e l’accettazione positiva verso quest’ultima. Per ottenere questo livello di accettazione servono valide ragioni ed una conoscenza profonda di quest’ultime, che solo una società culturalmente evoluta può dare. Per questo motivo una società profondamente radicata e avanzata come quella Romana, poneva come caposaldo dell’intera comunità non tanto un “Cosmos” basato sull’individuo, quanto tanti individui che reggevano il “Cosmos” ossia Roma, tutti guidati e protetti dal pantheon degli dei; e non ci poteva essere nulla di più grave del tradimento di quest’ultima.
Perciò, la guerra e la figura di Marte non possono essere soltanto letti da un punto di vista esteriore, ma vanno analizzati anche da un punto di vista simbolico.
In senso psichicamente più stretto, se analizziamo i costanti moti interiori di ogni essere umano possiamo dedurre che l’uomo è quotidianamente in guerra. Che sia culturalmente elevato o meno, che sia a livello cosciente o nell’inconscio tutti combattiamo una battaglia interna. Questa lotta può avvenire su diversi livelli e può essere una lotta fine a sè stessa, combattuta dall’ego, e quindi da tutte le pulsioni che ci allontanano dalla verità critica e oggettiva e ci mantengono, in ciò che gli psicologi chiamano “comfort zone”, una zona d’ombra in cui apparentemente ci sentiamo al sicuro ma alla cui ombra lentamente moriamo. Questa lotta nasce da un principio di preservazione dell’ego, che in tutti i modi cerca di persuadere l’io a scegliere la comoda strada, tracciata col minimo sforzo che conduce al più certo obiettivo. Tale principio di conservazione dell’ego porta l’uomo a tantissimi cambiamenti esteriori per dirsi raggiunto il cambiamento, ma nella realtà dei fatti, quest’ultimo, rimane ancorato e immobile nel suo intimo.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa fa emergere ne “Il Gattopardo” questo meccanismo di apparente emulazione al cambiamento usando la celebre frase:
“tutto cambia perché nulla cambi”
Se tutto cambia esteriormente, tutto rimane com’è; se tutto rimane com’è, tutto può cambiare interiormente. A questo fa appello l’ego, al costante movimento senza un taglio di netto nell’evoluzione dello spirito umano, un continuo errare senza audacia nè salti quantici.
Tuttavia la vera lotta, risulta essere quella condotta contro l’ego che conduce alla gestione e educazione di tutte le pulsioni che sono di intralcio verso il raggiungimento di un miglioramento dell’individuo, un avvicinamento al se.
Questa lotta eroica porta costantemente l’individuo, abbandonate le vecchie certezze, verso zone inesplorate dell’esistenza.
In cui questi angusti luoghi l’uomo si può perdere, può “morire” o non tornare più ma in ogni caso è proiettato verso il cambiamento. Questo definisce il cosiddetto “passaggio al bosco” celebrato dal filosofo tedesco Ernst Jünger nel libro “Il trattato del ribelle”.
“La libertà è il grande tema di oggi, è la forza capace di dominare la paura. La libertà dovrebbe essere la materia più importante da insegnare agli uomini liberi, al pari dei modi e delle forme di rappresentarla efficacemente e di manifestarla nella resistenza… Per diminuire la paura basta che l’uomo sappia in anticipo quale parte gli spetta in caso di catastrofe. È necessario esercitarsi in vista della catastrofe così come prima di ogni traversata si prova il naufragio. Ma quando un popolo intero si prepara a passare il bosco, il suo potere diventa terribile.”
Come dice il filosofo tedesco quando il passaggio al bosco si fa massivo e coinvolge buona parte di una società, la potenza di quest’ultima raggiunge livelli altissimi. Quando il senso di comunità e appartenenza a una cultura risulta essere così tanto radicato da abbracciare la morte per proteggerla, questa società è destinata a sopravvivere al tempo. Non è un caso che Roma abbia dominato la storia europea per ben 1229 anni, e che dopo quasi 2000 anni noi siamo ancora qui a parlarne. Per questo motivo Marte, ma più in generale di tutto il pantheon romano, rappresentano un invito al miglioramento dell’uomo, tolto dalla sua individualità e reso parte di una società complessa il cui fine è il mantenimento della stessa nel tempo. Ecco perché non possiamo intendere Marte come un “guerrafondaio”, poiché il suo ruolo è quello di invitare gli uomini al compimento, elevandoli dallo stato animale a quello immortale, condizione senza la quale la pace e la difesa di una società non ci potrebbero essere.
“Dove esiste l’immortalità o anche soltanto la fede in essa, sappiamo che ci sono dei punti in cui nessun potere, nessuna potenza terrestre, per grande che sia, può ghermire, colpire o meno che mai distruggere l’uomo. Il bosco è un santuario…”
Ernst Jünger
Domenico De Falco