Completato il difficoltoso e turbolento ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, l’opera di retrenchment statunitense continua spedita, con la riduzione degli operativi nei settori considerati di secondaria importanza strategica e l’appalto della sicurezza regionale in capo ai satelliti. L’attenzione degli Stati Uniti è rivolta ora verso il Mar Cinese Meridionale e al contenimento della Cina: nessuna risorsa può più essere dilapidata nella falsa pretesa di poter continuare sulla troppo dispendiosa scia della “Global war on terror”, e sia uomini che mezzi debbono essere schierati in settori sensibili e funzionali al contenimento del Dragone.

La Repubblica Popolare Cinese infatti si sta profilando come un importante competitor degli Stati Uniti, portando avanti una poderosa corsa agli armamenti e allungando la propria influenza in numerosi stati africani, asiatici ed europei. Ed è proprio sulla Cina che verterà questo approfondimento, che intende analizzare con le armi dello studio comparatistico lo Stato cinese al fine di fare luce sulla relativa forma di Stato e di Governo e per analizzarne l’evoluzione dal punto di vista prettamente giuridico.
Cenni storici e sviluppo del costituzionalismo cinese
Con la vittoria delle forze del Partito Comunista Cinese sul Partito Nazionalista di Chiang Kai-Shek, e costretto quest’ultimo al ritiro sull’isola di Formosa (ancora oggi al centro dell’agenda della Repubblica Popolare, che punta all’annessione dell’isola e alla riunificazione delle due Cine), vedeva la luce, il 1° ottobre del 1949, la Repubblica Popolare Cinese. Nello stesso anno venne adottata una costituzione provvisoria, denominata “Programma comune” (Gangling), ad opera della “Conferenza politico consultiva del popolo cinese (CPCPC), espressione del Fronte unico democratico del popolo cinese.

Questo primo testo costituzionale, che diede vita alla fase della “nuova democrazia”, ebbe però vita breve. Nel gennaio del 1953 venne infatti creata una vera e propria commissione costituente, che approvò il testo del nuovo progetto (recepito dalla commissione come approvato dal PCC) e diede vita ad una fase di consultazione popolare volta a coinvolgere i cittadini e le Assemblee Locali del Popolo (ALP) nel processo. A circa un anno dall’istituzione della commissione, nel settembre del 1954, la nuova Costituzione (Xianfa) venne definitivamente approvata dall’Assemblea Nazionale del Popolo (ANP, il parlamento cinese).
Questa Costituzione recepì e sviluppò quanto contenuto nel vecchio Programma comune e fu modellata sulla Costituzione sovietica del 1936. Recependo la teoria marx-engelsiana del diritto e dello Stato, essa andava a creare lo stato socialista prodromico all’avvento del vero e proprio comunismo, reinterpretando però detta dottrina con caratteristiche cinesi. La cosiddetta “nuova democrazia” inaugurata nel ‘49 si estinse, lasciando spazio alla fase propriamente socialista della Repubblica Popolare Cinese. Una fase non ancora perfezionata, ma intesa come agli inizi, in quanto lo Stato socialista non era ancora completamente formato, sopravvivendo all’interno di esso, ad esempio, un articolato sistema di proprietà tra le quali era annoverata la “proprietà capitalista”.
Ulteriore fase del costituzionalismo cinese si ebbe negli anni ‘70, sull’onda della rivoluzione culturale proletaria che si affermò nella RPC tra il 1966 e il 1976. I movimenti antilegalisti, che consideravano il diritto come un ostacolo alla creazione del comunismo ed elogiavano apertamente l’illegalità come sentimento rivoluzionario, presero il sopravvento (anche con l’appoggio dello stesso Grande Timoniere Mao Zedong) portando al perfezionamento di una nuova Costituzione, che venne approvata nel gennaio del 1975 e che recepiva appieno le istanze della rivoluzione culturale. Al centro di questo testo fu posta la lotta di classe, la teoria delle contraddizioni di Mao, la guerra popolare contro ogni forma di deviazione e di “imborghesimento” della società cinese. La Costituzione tardo-maoista dichiarava inoltre la piena edificazione dello Stato socialista e riduceva all’osso gli articoli dedicati ai diritti e doveri dei cittadini (appena 4) e all’amministrazione della giustizia (solo un articolo),.

Questo nuovo testo però non sopravvisse a lungo. Con la morte di Mao, l’arresto della sua vedova Jiang Qing e dei membri della “Banda dei quattro” (Yao Wen-yuan, Wang Hongwen, Zhang Chung-qiao) e con lo spegnersi della rivoluzione culturale, il PCC, guidato ora dal più moderato e pragmatico Deng Xiaoping, sentì ben presto la necessità di adottare una nuova “vera” costituzione. All’interno del più ampio progetto di “riforme e apertura” (gaige kaifang) trovò spazio la redazione di una nuova costituzione che meglio si sposasse con le necessità giuridiche dettate dall’ampio programma evolutivo intrapreso dalla RPC in campo economico, sociale e politico.
Questa venne approvata dall’Assemblea Nazionale del Popolo il 5 marzo 1978 e, per quanto fosse ancora influenzata dalle istanze della rivoluzione culturale (ad esempio non abolì i comitati rivoluzionari che avevano soppiantato le ALP), costituì la base per il suo stesso superamento. Il nuovo testo recuperava molto dell’abrogata costituzione del 1954, e in particolare rafforzava considerevolmente l’apparato giudiziario (tramite la ricostituzione della Procura di Stato, soppressa dal testo del ‘75). Il testo manteneva però una natura sostanzialmente ibrida, a cavallo tra la rivoluzione culturale e il suo superamento, superamento che andò concretizzandosi tramite una serie di emendamenti effettuati nel 1979 e nel 1980 e che si realizzò compiutamente nel 1982 con l’approvazione della ancora vigente costituzione “modernista”. Con il recupero dell’impianto normativo della costituzione del 1954, la fase di estremismo maoista poteva dirsi superata, per quanto oggi in Cina si stia assistendo ad un affatto irrilevante revival maoista e al recupero del pensiero del Grande Timoniere.
Funzioni legislative ed esecutive
Se nel 1991 – con la dissoluzione dell’Unione Sovietica – si è assistito alla sostanziale scomparsa degli Stati socialisti dalla cartografia mondiale, in Cina ancora oggi questa forma di Stato sopravvive, e la RPC rappresenta uno dei suoi ultimi baluardi.
Innanzitutto occorre notare che nella Repubblica Popolare non esiste separazione dei poteri. I poteri legislativo, esecutivo e giudiziario sono retti tutti dalle assemblee popolari strutturate ai vari livelli territoriali dell’amministrazione della repubblica cinese, e l’ampiezza di tali poteri varia in base al livello della singola assemblea. Ciò in virtù del precetto socialista secondo il quale il potere promana esclusivamente dalla classe lavoratrice e, conseguentemente, esso, nella sua interezza, deve rimanere nelle sue mani. In concreto i tre poteri sono affidati alle assemblee popolari, formate da e rappresentanti i lavoratori, al cui vertice si trova l’Assemblea Nazionale del Popolo, che può considerarsi il parlamento della Repubblica Popolare.
Cominciando ad analizzare la funzione legislativa all’interno della Repubblica Popolare Cinese, l’Assemblea Nazionale del Popolo può emanare leggi ordinarie (fa), nel rispetto della sovraordinata legge sulla legislazione (lifa fa), approvata nel 2000 e considerata quale legge fondamentale (jiben fa).

Accanto all’ANP, detentrice del potere legislativo durante le sue tre sessioni annuali, sono collocati il suo Comitato permanente, che esercita il potere legislativo negli intervalli tra una sessione e l’altra, e la Conferenza Politicoconsultiva del Popolo Cinese (formata da delegati del PCC, da personalità apartitiche e da rappresentanti degli otto partiti non comunisti, delle organizzazioni di massa e dei cinesi di Taiwan, Hong Kong, Macao e d’oltremare) con compiti di alta consulenza e supervisione.
Figura di primaria rilevanza è il Presidente (zhuxi) della Repubblica Popolare. Esso costituisce il Capo dello Stato (guojia yuanshou) e viene eletto, assieme al Vicepresidente della Repubblica, dall’Assemplea Nazionale del Popolo. Il loro mandato dura cinque anni (durata analoga a quella dell’ANP e delle ALP) e non può essere rinnovato per più di due volte consecutive, con una prorogatio prevista nel periodo intercorrente tra il termine del loro mandato e l’insediamento dei successori.

Al Capo dello Stato sono attribuiti diversi poteri e funzioni. Innanzitutto egli promulga le leggi approvate dall’Assemblea Nazionale del Popolo o dal relativo Comitato permanente; nomina le più alte cariche di Stato, tra cui il primo ministro e il relativo vice, i consiglieri di Stato, i ministri, i Presidenti delle Commissioni, il revisore capo dei conti e il segretario generale del governo popolare centrale. Sempre al Presidente spetta dichiarare lo stato di emergenza e la guerra; emana gli ordini di mobilitazione dell’esercito, concede la grazia e conferisce decorazioni e titoli onorifici di Stato. Guardando invece alle relazioni internazionali, il Presidente rappresenta la Repubblica Popolare Cinese nei rapporti con gli Stati stranieri, riceve i diplomatici e, dietro previa deliberazione favorevole del Comitato permanente dell’ANP, nomina e revoca i plenipotenziari cinesi all’estero e ratifica e abroga i trattati internazionali di cui la Cina è parte contraente.
Vertice dell’amministrazione statale cinese, è il Consiglio degli Affari di Stato (guowuyuan) con funzioni esecutive con riguardo ai provvedimenti adottati da ANP e Comitato permanente. Questo organo, che rappresenta in sostanza il Governo nazionale cinese, è formato da premier, vicepremier, consiglieri di Stato, ministri, revisore capo dei conti, Presidenti delle Commissioni e segretario generale. L’organo è responsabile davanti al parlamento nazionale e alla Commissione permanente (negli intervalli tra una sessione e l’altra dell’ANP), e, in particolare, il premier è responsabile per l’attività complessiva del governo, mentre le altre figure sono responsabili dei relativi ministeri e Commissioni.
Il funzionamento del CAS è regolato dalla “legge organica sul Consiglio degli Affari di Stato della Repubblica Popolare Cinese” approvata nel 1982. I lavori possono svolgersi sia in sessione permanente (changwu huiyi), composta da Primo ministro, vicepremier e ministri, Consiglieri di Stato e segretario generale, sia in sessione plenaria (quanti huiyi). Ambo le sessioni sono presiedute dal Primo Ministro e si svolgono rispettivamente ogni settimana e ogni due mesi.
È il CAS ad avere potere di iniziativa legislativa nel Parlamento Nazionale e nel relativo Comitato Permanente, e nello svolgimento delle sue funzioni emana provvedimenti di natura amministrativa subordinati sia alla Costituzione che alle leggi (alla stregua dei regolamenti italiani). Il CAS approva inoltre norme e regolamenti amministrativi, emana provvedimenti denominati “decisioni” (jueding) e “ordinanze” (mingling). Il Consiglio degli Affari di Stato detiene anche il potere di modificare o anche annullare atti e provvedimenti “impropri” emanati da organi ministeriali, Commissioni di governo e organi amministrativi locali. Infine il Governo nazionale nomina, revoca e forma il personale della pubblica amministrazione, vigila sull’attività di quest’ultima e può altresì concedere premi e irrogare sanzioni ai funzionari pubblici.
Passando dal Governo nazionale ai governi popolari locali, questi adottano provvedimenti di natura amministrativa e danno attuazione mediante questi alle norme legislative emanate dalle relative Assemblee Locali del Popolo. Si assiste qui ad una doppia subordinazione del provvedimento amministrativo emanato dal governo locale: esso infatti è subordinato non solo ai provvedimenti emanati dal CAS e dai governi locali superiori, ma anche alle norme legislative locali di pari livello.
Funzioni giurisdizionali
Dopo i difficili anni della rivoluzione culturale e la temporanea soppressione delle Procure di Stato, la Costituzione del 1982 prevede una serie di organi cui sono devolute le funzioni giurisdizionali: Procure popolari e Corti popolari.
Detti organi della magistratura requirente e giudicante sono ripartiti su quattro livelli (corrispondenti ai livelli di suddivisione politico-amministrativa territoriale), e i loro componenti sono nominati dalle Assemblee popolari di pari livello, davanti alle quali sono responsabili. In Cina, è bene sottolineare, la magistratura non costituisce un potere autonomo: per quanto l’art. 126 della Costituzione vigente ne garantisca l’indipendenza da organi amministrativi, organizzazioni sociali e persone fisiche, essa rimane mera articolazione funzionale di un potere (quello giudiziario) che al pari di quello legislativo ed esecutivo resta di esclusiva titolarità del popolo e, quindi, delle Assemblee popolari e in particolare di quella di vertice. Ed è proprio all’ANP che spetta emanare direttive vincolanti per l’applicazione e l’interpretazione delle norme giuridiche.
Mentre la Costituzione si limita a prevedere, all’art. 124, la presenza di organi giudiziari ordinari e speciali (citando espressamente tra questi ultimi le Corti militari), la legge organica sulle Corti popolari della Repubblica Popolare Cinese, approvata nel 1979 e modificata nel 1983, disciplina l’organizzazione delle strutture della magistratura giudicante, e la legge sui giudici della Repubblica Popolare Cinese del 1995 definisce lo status dei magistrati.
Le Corti popolari (magistratura giudicante) si articolano gerarchicamente in: 1) Corti popolari di base, che comprendono le Corti distrettuali e di Contea; 2) Corti popolari intermedie; 3) Alte Corti popolari; 4) Corte Suprema Popolare. I giudici che compongono le singole Corti sono nominati dal Comitato permanente delle Assemblee popolari di livello corrispondente, mentre i loro Presidenti sono eletti direttamente dall’Assemblea.

Le sentenze vengono emanate da organi in composizione collegiale, composti al livello base da un giudice togato e da due giudici popolari, mentre ai livelli superiori da collegi composti da almeno tre giudici togati. Un’eccezione a questa regola è prevista per alcuni illeciti e reati di minore gravità, per i quali la sentenza viene emanata da un giudice monocratico professionale.
Il giudice di ultima istanza nella RPC è la Corte Suprema del Popolo, competente a giudicare circa le impugnazioni proposte contro le sentenze delle Alte Corti popolari e delle Corti Speciali. La Corte Suprema Popolare può anche essere giudice di primo e unico grado in alcuni limitati casi, e ad essa spetta l’approvazione di ogni condanna a morte comminata da tutte le altre corti, indipendentemente dal livello.
Con riguardo ai gradi di giurisdizione, il diritto processuale cinese ne prevede due: le parti possono proporre una sola impugnazione davanti alla Corte Popolare di livello superiore, e la sentenza di quest’ultima passa in giudicato. Unica eccezione a questa regola è costituita dalla possibilità di proporre impugnazione straordinaria, facoltà concessa sia alle parti private che alla Procura di Stato di livello superiore. Tuttavia in merito alla richiesta di impugnazione straordinaria, la Corte Popolare ha l’obbligo di pronunciarsi solo sull’impugnazione effettuata dal Procuratore. Riapertura del giudizio può anche aversi dietro impulso della Corte Popolare che ha pronunciato la sentenza, così come della Corte Popolare di livello superiore.
Passando ora alla magistratura requirente, questa è composta dalle Procure popolari, il cui procuratore capo è eletto dall’ALP di pari livello. Al suo vertice è situato il Procuratore generale, che è anche procuratore capo della Procura Suprema Popolare. Tutti gli altri componenti delle procure, similmente a quanto accade per le Corti Popolari, sono nominati invece dalle Commissioni permanenti delle relative ALP. Assemblee popolari e relative Commissioni detengono anche il potere di revoca nei confronti dei procuratori.
Le Procure Popolari sono sottoposte alla supervisione non solo dell’Assemblea Popolare di pari livello, ma anche del Comitato permanente dell’ALP di livello superiore: in caso di contrasto tra le due in merito a nomine e revoche delle cariche, sarà il parere dell’organo gerarchicamente superiore a prevalere. A loro volta alle Procure spetta il compito di supervisione giudiziaria tramite il sistema delle impugnazioni, sia ordinarie (impugnazione di sentenza di primo grado prima del passaggio in giudicato) sia straordinarie (vedi sopra). La supervisione delle Procure non si limita alle impugnazioni, ma si estende anche alla fase di esecuzione delle sentenze: compito svolto attraverso la vigilanza sull’applicazione delle norme nelle carceri e nei campi di (ri)educazione mediante il lavoro (laojiao).
Interessante è approfondire lo sviluppo della giustizia amministrativa cinese. Infatti pur essendo contemplata in Costituzione dall’art. 41, il sentimento antilegalistico della rivoluzione culturale (che guardava con avversione l’applicazione di disposizioni giuridiche contro i funzionari e gli enti pubblici) e l’attrito ideologico con la dottrina socialista (che reputa inconcepibile la commissione di illeciti da parte dei funzionari pubblici, in quanto al servizio del popolo), hanno reso per lungo tempo sostanzialmente ineffettiva la tutela giurisdizionale avverso gli illeciti amministrativi.
Lo scontro tra la rigidità ideologica e la realtà fattuale della pubblica amministrazione cinese, teatro di svariati episodi di abuso di potere e di commissioni di illeciti da parte dei propri dipendenti, ha reso necessario il superamento della prima e l’intervento del legislatore, il quale ha riconosciuto la possibilità di agire in giudizio contro atti amministrativi all’art. 3 della legge sul processo civile del 1982, portando quattro anni più tardi le Corti popolari a dotarsi di Camere amministrative dedicate.
La riforma della pubblica amministrazione e del giudizio amministrativo si rivelò tanto impellente da portare negli anni ‘80 alla costituzione di un gruppo di ricerca dedicato da parte dell’ANP, con il compito di studiare progetti di leggi amministrative. I lavori di questo comitato portarono, nel 1996, all’approvazione della legge sulle sanzioni amministrative e, nel 1989, della legge sul processo amministrativo. Quest’ultima entrò in vigore però solo diciotto mesi più tardi, il 1° ottobre del 1990: altro sintomo della difficoltà di riforma di questo settore in uno Stato socialista come la Cina.
L’esercito
Il potere unitario dello Stato cinese comprende anche la componente militare. Il controllo dell’esercito è attribuito al popolo ed è esercitato tramite l’Assemblea Nazionale del Popolo. Vertice delle forze armate è costituito dalla Commissione militare centrale (CMC), disciplinata dagli articoli 93 e 94 della Costituzione del 1982.

Dal testo costituzionale (non solo dell’attualmente vigente costituzione, ma anche di quelle più risalenti) risulta che il controllo dell’esercito è frutto di un delicato intreccio di istituzioni partitiche, militari e statali. Fin da prima della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese, infatti, esisteva all’interno del PCC la Commissione Militare Centrale. Oggi la commissione di partito continua ad esistere a fianco della CMC statale, e i membri della seconda (designati dall’ANP) sono gli stessi della prima. Si tratta quindi di due organi formalmente distinti ma sostanzialmente coincidenti in quella che risulta una vera e propria unione personale.
Diritti, doveri e libertà dei cittadini
Nonostante la Costituzione vigente contempli una serie di diritti e doveri in capo ai cittadini della Repubblica Popolare, il tessuto sociale, filosofico e politico cinese fanno sì che le libertà classiche dei singoli risultino compresse, mentre privilegiati siano i valori dell’ordine e dell’armonia.
I diritti dei singoli non sono preesistenti allo Stato, ma vengono da questo plasmati e concessi in virtù della situazione di sviluppo socio-economico del Paese, e dunque solo in questo caso riconosciuti, in ossequio con la dottrina marxista. La Costituzione della Repubblica Popolare è la fonte dei diritti e delle libertà, non il loro riflesso.
In Cina, inoltre, la concezione socialista dell’individuo e della società ha trovato terreno comune con la secolare filosofia confuciana e con i valori della cultura tradizionale asiatica: tutte operano una predilezione, infatti, per gli interessi della collettività rispetto a quelli del singolo, e ciò comporta che tutti i diritti dei cittadini siano diritti relativi e non assoluti. Quindi esercitabili solo nei modi previsti dalla legge e solo se da questa contemplati. Deriva da ciò una lettura assolutamente rigida e positivistica dei diritti, nonché la supremazia del dettato costituzionale sul contenuto dei trattati internazionali siglati dallo Stato cinese.
Altro aspetto rilevante, all’interno dei diritti riconosciuti dalla carta costituzionale cinese, è la preminenza dei diritti c.d. di seconda generazione rispetto a quelli c.d. di prima generazione. I primi sono diritti e libertà economici e sociali, gli altri invece sono diritti e libertà “classiche” come libertà di espressione, di religione, di stampa, di associazione, di parola, eccetera.
In ogni caso, per quanto la Costituzione del 1982 dedichi il proprio capitolo II all’elencazione dei diritti e dei doveri fondamentali dei cittadini, l’affermazione di questi non equivale purtroppo alla loro effettiva attuazione nel c.d. diritto vivente.
Christopher Fucci
Fonti:
- P. Carrozza, A. Di Giovine, G.F. Ferrari (a cura di), Diritto costituzionale comparato, Roma, Editori Laterza, 2014.
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