La recente guerra russo-ucraina ha scatenato un tumulto di domande e pensieri riguardo all’Europa. Avrebbe dovuto intervenire in maniera decisa? Avrebbe dovuto evitare il conflitto? Economia, politica, esercito? Non è di questo che vuole occuparsi questo scritto. Non vi è nessuna pretesa di strategie geopolitiche, nessuna analisi militare, nessuna previsione economica. Questo articolo scaturisce da una riflessione interiore, vuole evidenziare una comunione culturale condivisa per secoli, ma recentemente perduta. Cosa è “Europa”?
Il mito, tramandato da eccelsi scrittori antichi – fra i quali Omero nell’VIII libro dell’Iliade ed Esiodo nella Teogonia – narra di una bellissima fanciulla, Europa, figlia di Agenore, sovrano di un’antica ed importante città fenicia, Tiro. Zeus si innamorò perdutamente di lei e decise di trasformarsi in un animale per poterla possedere e conquistare. Prese le sembianze di un toro bianco, storicamente simbolo di virilità. Europa lo scorse mentre si recava sulla spiaggia con le sue ancelle: quell’animale le apparve così bello che la fanciulla si avvicinò, tentando di cavalcarlo. Il toro la rapì, scappando con lei attraverso il mare fino a raggiungere le spiagge cretesi. Ivi possedette la fanciulla: dalla loro unione nacquero Minosse, Sarpedonte, Radamanto.
Erodoto considera assestata la denominazione “Europa” data alle terre a occidente della Grecia, come quelle di “Asia” conferite alla parte orientale.
Perciò pare evidente che fin da tempi antichi si prefigurano due concetti antitetici: Asia ed Europa. L’uno si costruisce in funzione dell’altro: esisterà un’Europa e una non-Europa, che sarà quindi Asia. In tempi moderni, questa antica concezione andrebbe ampliata, affiancando all’Asia altri continenti, quali Africa, Americhe. Nonostante si modifichino le parti, il risultato rimane invariato: vi sono sempre dei princìpi primi che costituiscono solo e soltanto l’Europa rispetto al resto del mondo, una comunione di cultura e valori intrinsechi nell’uomo europeo ed estranei al singolo americano, asiatico, africano. Cosa contraddistingue l’Europa rispetto a ciò che non-è-Europa?
Cos’è “Europa”?
L’Europa è i suoi caffè, luoghi di appuntamento, di dibattito intellettuale. Il caffè è aperto a tutti e, contemporaneamente, esclusivo: la sola frequentazione implica una scelta, similmente ad «una massoneria di identità politiche o artistico-letterarie»[1].
Dal locale di Lisbona amato da Fernando Pessoa ai caffè di Copenaghen, davanti ai quali camminava il meditabondo Kierkegaard, fino a quelli di Palermo. Non vi sono locali simili a Mosca, già la periferia dell’Asia. Nella Milano di Stendhal, nella Venezia di Casanova, il caffè ospitava l’opposizione politica, «il liberalismo clandestino». L’ultimo incontro tra Danton e Robespierre ebbe luogo al Café Procope e proprio in un caffè di Ginevra Lenin scrisse il suo trattato sul materialismo ed empiriocriticismo. Chi voleva incontrare Karl Kraus o Freud sapeva esattamente in quale caffè doveva andare, a quale tavolo erano soliti sedersi.
Le differenze che distinguono i caffè europei dai bar inglesi o irlandesi sono molteplici. Certo, cosa sarebbe la letteratura irlandese senza i bar di Dublino? Dove si sarebbero incontrati Watson e Sherlock Holmes senza la Museum Tavern? Tuttavia, questi non sono caffè: non vi è il quotidiano del giorno, nessuna scacchiera e solo a seguito del diciottesimo secolo la tazzina di caffè è divenuta un’abitudine britannica, rivelando comunque un’origine prettamente italiana.
Negli Stati Uniti il bar ha un ruolo centrale nella letteratura soprattutto grazie a figure come Scott Fitzgerald. La storia del jazz è indissolubilmente legata ai bar, ma esso è un santuario spesso immerso nell’oscurità. In America, nessuno scrive trattati di fenomenologia seduto al tavolino di un bar.
Solo disegnando una mappa dei caffè, si trovano gli indicatori essenziali dell’Europa. «Finché ci saranno locali come questi, l’idea d’Europa avrà un contenuto»[2].
Una caratteristica intrinseca all’Europa è la sua “camminabilità”, la relazione tra uomo europeo e un paesaggio. L’Europa è il frutto delle possibilità del piede umano, degli orizzonti che ci può far percepire. Tutte le distanze sono costruite su scala umana: possono essere percorse da chi viaggia a piedi, dal pellegrino che si spinge fino a Santiago di Compostela.
Le strade europee sono state tracciate dai solchi di lunghe marce. Le truppe di Alessandro Magno hanno marciato dalla Grecia fino ai confini con l’India. I chilometri percorsi dalle armate di Napoleone superano ogni immaginazione, così come la sopravvivenza di Stendhal nelle interminabili distanze della ritirata di Russia.
Quelle stesse strade, piazze dove camminano gli uomini europei hanno preso il nome da generali, poeti, compositori, scienziati e filosofi ed è proprio questa la terza caratteristica dell’Europa. Città come Milano, Firenze, Francoforte, Parigi, Praga, San Pietroburgo e Vienna sono delle cronache di eventi: leggere i nomi delle strade significa sfogliare il nostro passato. Negli Stati Uniti simili memoriali sono molto rari. Vie e strade sono semplicemente numerate, a volte nominate come “Acero”, “Quercia”, “Pino”, o “Salice”.
La sovranità del ricordo che regna in Europa commemora anche secoli di massacri e di sofferenze. Nessun europeo, nemmeno i bambini, possono scampare a questo memoriale luminoso e soffocante, a questa continua volontà di ricordare, di celebrare il proprio passato.
Questa stesso passato è il frutto di ciò che George Steiner descrive come «un dualismo primordiale»: la doppia eredità di Atene e Gerusalemme.
L’uomo, capace di ogni tipo di ferocia, volgarità, con la sua innata vocazione al massacro, ha generato tre ricerche: la musica, la matematica ed il pensiero speculativo. Tuttavia, mentre la musica è diffusa in tutto il pianeta, la matematica ha origini indiane e islamiche, è innegabile che il flusso di ipotesi e dimostrazioni logiche ed epistemologiche, dai presocratici fino a Bergson, da Plotino fino a Kant e Spinoza, scorre all’interno dell’Europa, eredità dell’Ellade. Questa non si lega soltanto alla filosofia, alla matematica, alla musica, ma anche al lessico di teorie, conflitti sociali e politici, dell’atletica, dell’architettura, della scienza. Parole come “biologia”, “astronomia”, “geologia”, “logica” sono puramente greche.
L’eredità di Gerusalemme corrisponde all’eredità dell’ebraismo: il monoteismo, il dialogo con il divino, l’esistenza di un Libro Supremo. Questa doppia eredita è un conflitto tra l’Atene pagana e la Gerusalemme ebraica. Un magnetismo essenziale poiché «l’idea di Europa è una storia di due città»[3].
Una peculiarità della coscienza europea è la «consapevolezza escatologica»[4]: l’uomo europeo aveva intuito una finalità più o meno tragica. Infatti, il Cristianesimo, che in Europa ha sedimentato le proprie radici, non ha mai rinunciato all’attesa della fine del mondo. Il «senso della fine» è evidente nelle teorie storiche di Hegel, nei dipinti panoramici di una corrente romantica che raffigurano le città europee in preda alle fiamme. Secondo Steiner, è come se «l’Europa, a differenza delle altre civiltà, avesse intuito di essere destinata al collasso, sotto il peso paradossale dei propri trionfi e dell’insuperata ricchezza e complessità della propria storia»[5].
Questo «senso della fine», tanto intrinseco nell’uomo europeo e nell’Europa stessa, porta con sé una nostalgia di un’Europa perduta, conosciuta con il sospetto della sua morte. Europa non è solo la consapevolezza escatologica descritta da Steiner, non è solo nostalgia, è anche speranza. Speranza di un’unità conosciuta solo nel disastro, attraverso le tragedie dell’umanità. Speranza di rinascita.
Cosa sarebbe l’Europa senza i suoi caffè? Cosa sarebbe senza le sue vie, le sue piazze? Cosa senza il continuo ricordo della sua storia, senza i pellegrinaggi e i grandi viaggi che l’hanno attraversata? Cosa sarebbe stata l’Europa senza Atene e senza Gerusalemme? Cosa sarebbe oggi l’Europa senza la sua caratteristica consapevolezza di una fine, senza la volontà di un nuovo inizio? Non vi sarebbe un’idea d’Europa, non vi sarebbe nient’altro che macerie.
Sabina Petroni
Bibliografia
F. Chabod, Storia dell’Idea d’Europa, Bari 1961.
L. Passerini, Il mito d’Europa. Radici antiche per nuovi simboli, Firenze 2002.
G. Steiner, Una certa idea di Europa, Milano 2006.
M. Zambrano, L’Agonia dell’Europa, Milano 2009.
[1] [2] [3] [4] [5] G. Steiner, Una certa idea d’Europa – p. 30, 33, 60, 60 , 62.