Nel segno della geopolitica: dinamiche identitarie e strategiche in Nagorno Karabakh
Un articolo di Pietro Acerbis

Nel segno della geopolitica: dinamiche identitarie e strategiche in Nagorno Karabakh

Se si volesse condensare in una frase un anno e mezzo di propaganda occidentale riguardo il conflitto in corso in Ucraina, la narrativa sarebbe più o meno la seguente:
La Russia è un attore politico inaffidabile, malvagio e dispotico in quanto fautore dell’aggressione indiscriminata di territori attinenti alla giurisdizione ucraina”.1

In Europa, inoltre, dall’inizio delle operazioni belliche nessun accenno è più stato fatto alle comunità russofone del Donbass, ostili a Kiev per via delle sue politiche in Ucraina orientale. Non solo, l’operazione speciale lanciata da Mosca viene raccontata dai media nostrani come parte di un grande disegno revisionista russo, minaccia assoluta all’ordine internazionale a trazione americana affermatosi sul finire del secolo scorso.

La campagna mediatica operata contro la Russia – in quanto stato aggressore – non viene tuttavia riproposta nei confronti di un’altra nazione, l’Azerbaigian, responsabile negli ultimi anni di aver condotto operazioni belliche in piena regola nei confronti dell’Armenia. Ma procediamo un passo per volta.

I turbolenti anni a cavallo tra ‘80 e ‘90, caratterizzati dall’emancipazione delle Repubbliche semi-europee, caucasiche e centrasiatiche dal controllo sovietico, oltre a porre le basi etno-geografiche delle ostilità odierne tra russi ed ucraini, videro il generarsi di un altro conflitto, che, come vedremo, è strettamente connesso alla Guerra d’Ucraina. Il 19 settembre scorso abbiamo infatti assistito all’ultima tappa della disputa che vede coinvolte Armenia ed Azerbaigian per il controllo dei territori appartenenti all’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, contesa originatasi nel crollo della Superpotenza comunista.

Nella ricerca qui presentata, ad una rapida crono-storia del conflitto e ad una primaria demarcazione etnografica delle due popolazioni coinvolte, faremo seguire un’analisi delle relazioni strategiche di Armenia ed Azerbaigian, alla luce delle quali è possibile spiegare la mancata condanna, da parte delle cancellerie europee e dell’anglosfera, delle recenti campagne azere ai danni degli armeni etnici abitanti la regione del Nagorno Karabakh.

Il peccato originale del conflitto cui assistiamo ancora tutt’oggi risale agli albori del periodo staliniano dell’Unione Sovietica. Stalin, nel 1923 già segretario del PCU, avrebbe infatti concesso i territori del Nagorno Karabakh, allora abitati prevalentemente da popolazione di etnia armena, alla Repubblica dell’Azerbaigian.

La concessione al governo di Baku da parte del leader comunista di origini georgiane è da inquadrare all’interno del programma di Delimitazione Nazionale delle Repubbliche Sovietiche. Se all’inizio del periodo leniniano dell’URSS, all’assimilazione delle 176 nazionalità abitanti i territori sovietici non fu data una priorità strategica, a partire dagli anni ’30 al processo parallelo di costruzione delle varie identità nazionali fu affiancata la politica repressiva di Stalin, avente come obiettivo la russificazione dei popoli sottomessi a Mosca.

Tuttavia, l’inglobamento del Nagorno Karabakh alla nascente Repubblica azera affondava le sue basi in un ragionamento squisitamente geopolitico, parte del disegno staliniano (poi rivelatosi fallimentare) di alienare l’emergente Repubblica Turca di Mustafa Kemal Atatürk a quello che si consoliderà qualche anno più tardi come il blocco occidentale. Per comprendere a fondo le cause della scelta di Stalin, nonché delle cause profonde delle quattro guerre del Nagorno Karabakh, è fondamentale condurre un’analisi delle due collettività caucasiche dal punto di vista antropologico.

Gli armeni si riconoscevano in un’identità collettiva comune già in epoca classica. Sotto Tigrane il Grande, il piccolo Regno d’Armenia – dapprima nemico della Repubblica Romana – divenne un importante stato-cliente, cuscinetto strategico tra Roma e la Persia. Nel IV secolo gli armeni divennero il primo stato ad adottare ufficialmente la religione cristiana, ragion per cui tutt’oggi la Chiesa Apostolica Armena è considerata una delle chiese cristiane più antiche al mondo. Infine, la lingua armena, di famiglia indo-europea, e il suo alfabeto (codificato già nel V secolo) furono tratti distintivi e fondanti rispetto alle popolazioni che, nel corso dei secoli, migrarono verso il Caucaso assoggettandone le popolazioni.

Il riferimento di cui sopra si rifà ovviamente alle grandi migrazioni turche che, tra il VII e il XIII secolo, si abbatterono contro il maglio delle popolazioni europee muovendo dalle grandi steppe dell’Asia Centrale, stabilendosi altresì nel Caucaso Meridionale. A partire dal XVI secolo la conquista safavide della regione impose la confessione sciita dell’Islam alle collettività sottomesse, iniziando un processo di mutazione antropologica che avrebbe portato, col passare degli anni, agli individui di etnia turcica abitanti il Caucaso a riconoscersi negli azeri.

Religiosità che, tuttavia, è andata attenuandosi durante il periodo di dominazione sovietica dell’area, lasciando spazio ad una laicità spinta, per lo meno rispetto al resto della Umma. Dal punto di vista linguistico, gli azeri parlano un idioma di estrazione turca e appartenente alla famiglia delle lingue altaiche. A partire dall’indipendenza dell’Azerbaigian, inoltre, è stato introdotto l’utilizzo dell’alfabeto latino, per segnare una separazione netta rispetto al periodo comunista (nel quale si utilizzava il cirillico).

Da questa succinta analisi storica delle due etnie emerge chiaro il motivo per cui, nel corso dei secoli, le potenze regionali che avessero individuato nel Caucaso un’area di influenza egemonica abbiano utilizzato le divergenze strutturali tra armeni ed azeri per il raggiungimento dei loro scopi strategici. Il “regalo” di Stalin alla Repubblica dell’Azerbaigian si inserisce pienamente in questa architettura concettuale.

Per completezza d’analisi (senza scomodare i vicini georgiani), risulta utile operare un’ultima cernita etnografica, quella tra azeri ed azerbaigiani. Come abbiamo visto, gli azeri sono un gruppo etnico distribuito prevalentemente tra Azerbaigian e la regione nord-occidentale della Repubblica Islamica dell’Iran. Per azerbaigiani si intendono invece tutti i cittadini di passaporto azerbaigiano, tra i quali si annoverano azeri e altre minoranze, come quella ebraica.

Tornando all’evoluzione storica del conflitto, memori delle divergenze etniche, linguistiche e religiose che abbiamo tentato di descrivere, è lampante come, al crollo dell’Unione Sovietica e venuto a mancare il collante politico-istituzionale nella regione caucasica, le plurisecolari tensioni tra armeni ed azeri sfociassero in un conflitto aperto.

Di fatti, secondo i protocolli di Almaty, siglati nel ’91 e che sancivano la nascita di una serie di stati indipendenti dalle ceneri dell’URSS, le neonate entità politiche sarebbero dovute ergersi sulle frontiere delle ormai ex Repubbliche sovietiche, con il Nagorno Karabakh sotto giurisdizione di Baku.

Ne scaturì il conflitto noto come Prima Guerra del Nagorno Karabakh (1992-1994), ma che a quei territori non si limitò. La risultante delle operazioni militari fu la conquista dell’indipendenza de facto da parte della Repubblica dell’Artsakh (nome armeno del Nagorno Karabakh), nonché l’annessione armena, uscita vincitrice nella prima fase del conflitto, di sette distretti adiacenti alla regione. L’Artsakh, anche se formalmente autonomo, era naturalmente legato a doppio filo con Yerevan, dalla quale dipendeva per il mantenimento della propria emancipazione.

A questo periodo risalgono le prime deportazioni di massa e scambi di popolazione reciproci, non solo relativi ai territori dell’Artsakh ma in linea generale dalle due ex Repubbliche Sovietiche (si parla di 500.000 armeni espulsi dall’Azerbaigian e circa 800.00 azeri che hanno compiuto il percorso inverso).2

A partire dal 2016, con la Guerra dei Quattro Giorni vinta da Baku, ma soprattutto nel 2020 (Guerra dei Quarantaquattro Giorni), gli azeri – forti di due decenni di potenziamento del dispositivo bellico – hanno lanciato una serie di attacchi volti a riconquistare i territori persi. Al tavolo delle trattative di pace venne sancito – sotto mediazione russa – il cessate il fuoco e la consacrazione dei territori ripresi dall’Azerbaigian. L’Armenia cedette infatti i sette distretti che permettevano il facile collegamento, in pieno territorio azero, con l’Artsakh costringendolo ad una situazione di isolamento logistico.

Il culmine degli scontri è avvenuto giusto qualche settimana fa, con l’ultima offensiva azera che in meno di ventiquattr’ore ha spazzato via dalle cartine geografiche e consegnato alla memoria storica quello che rimaneva della Repubblica dell’Artsakh. È importante far notare come la differenziante principale tra i tre conflitti precedenti e quest’ultima operazione è il non-intervento da parte armena a difesa dell’Artsakh, dopo la capitolazione assoluta subita nel 2020 e il riconoscimento dell’integrità territoriale azera (leggasi come abbandono di ogni velleità di influenza sul Nagorno Karabakh) da parte del premier armeno Panshinyan.3

Ma come è possibile – per riallacciarci all’incipit di questo scritto – che i media occidentali, intenti da mesi a condannare il cd. imperialismo di Mosca, non abbiano battuto ciglio davanti all’aggressione azera di un territorio – seppur non riconosciuto a livello internazionale – abitato in prevalenza da armeni? Di più, perché la Russia, garante del cessate il fuoco e stretta con l’Armenia in un’alleanza militare (Trattato di Sicurezza Collettivo), non è intervenuta a difendere i propri interessi lungo il proprio limes meridionale?

La risposta ad entrambe queste domande è da ricercare nelle trame sotterranee della Guerra d’Ucraina. Dallo scoppio delle ostilità, il decoupling energetico venutosi a creare, più o meno forzatamente, tra Mosca e l’Occidente europeo ha elevato l’Azerbaigian a partner strategico tanto per la Federazione Russa che per l’Unione Europea. Dal momento che gli idrocarburi russi non defluiscono più verso l’Europa tramite la rete di gasdotti del Bassopiano Sarmatico (per non menzionare North Stream), è Baku ad assicurare il passaggio del gas russo verso i mercati centrasiatici, ed è sempre Baku che esporta il gas dei propri giacimenti off-shore del Mar Caspio verso l’Europa.4

Questo circolo vizioso di interessi energetici ha naturalmente dei tremendi costi politici, che al momento sono pagati dall’Armenia. Yerevan è, per le ragioni appena descritte, fortemente isolata a livello internazionale, per cui a Baku – superiore peraltro sia a livello di approvvigionamento bellico che di tecnologia militare – è concessa una relativa libertà di manovra.

L’unica potenza regionale a difendere gli interessi armeni oggi sembra infatti Teheran, anch’essa non per motivi ideologici o per qualche affinità etnica con Yerevan, ma per precise ragioni geo-strategiche. Nel nord-ovest dell’Altopiano Iranico vivono infatti almeno 15 milioni di azeri etnici, per cui il ricongiungimento dell’Azerbaigian con l’exclave di Nakhcivan provocherebbe l’accerchiamento panturcico della Repubblica Islamica, ipotesi non proprio gradita nelle stanze dei bottoni a Teheran. Non solo, va consolidandosi tra Baku e Tel Aviv un legame che va oltre la mera compravendita di materiale bellico. L’Iran teme invero che l’Azerbaigian si trasformi un una comoda piattaforma dalla quale i servizi di sicurezza israeliani possano lanciare operazioni di intelligence nel proprio territorio.

A tal proposito, le rivendicazioni azere di ulteriori territori appartenenti all’Armenia, come il corridoio di Zangezur, verrebbero senz’altro percepiti a Teheran come un tentativo di assedio geografico panturanico, per evitare il quale sarebbe persino disposta, secondo le dichiarazioni, ad intervenire militarmente.5 Presa di posizione iraniana che inevitabilmente comporterebbe l’intervento del patron turco a sostegno di Baku, con conseguenze geopolitiche che possiamo solo ipotizzare.

Quali insegnamenti trarre dunque dalla lezione caucasica? E quali scenari futuri si possono immaginare nella regione?

In primis possiamo constatare l’ennesima vittoria, nel contesto della politica globale, della machiavellica Ragion di Stato. A guidare le azioni delle potenze nell’anarchica arena delle relazioni internazionali non sarebbero infatti motivazioni ideologiche o affinità istituzionali tra regimi democratici da una parte e autocratici dall’altra, bensì il principio secondo cui interessi, stabilità e sicurezza di uno stato hanno priorità assoluta sulle considerazioni etiche e morali. Ne deriva che stati definibili come “poco raccomandabili” come Egitto, Arabia Saudita e lo stesso Azerbaigian non vengano tacciati dalle cancellerie occidentali come regimi dittatoriali, oppressivi e aggressivi, in quanto partner strategici di Washington o hub energetici imprescindibili. Dimenticandosi volontariamente dei vari Regeni, Kashoggi o, appunto, degli armeni dell’Artsakh.

Per quanto riguarda gli scenari futuri nella regione, molto dipenderà dall’evoluzione di altri due conflitti, quello ucraino da una parte e quello israelo-palestinese dall’altra.

Come detto, l’inadempienza russa sia alle clausole del CSTO come per quelle relative al cessate il fuoco del 2020 ha portato al consolidamento in Armenia di un forte sentimento critico nei confronti di Mosca. Una perdita di popolarità in termini di affidabilità e credibilità come alleato strategico che lascia inevitabilmente scoperto il fronte Sud della Federazione e apre spiragli di penetrazione da parte delle altre potenze regionali.

Ancorché la situazione sul campo sia troppo fresca per sancire una determinante perdita d’influenza da parte di Mosca, la cosa certa è che una delle conseguenze del lancio dell’Operazione Speciale in Ucraina è stato fuor di dubbio una rivalutazione delle priorità strategiche moscovite nel Caucaso, le cui entità politiche oggi più che mai sono sempre meno disposte a seguire i dettami della Federazione.

A riprova di ciò vi è la dichiarata volontà, da parte del premier armeno Panshinyan, di aderire al Trattato di Roma, ossia quello costitutivo della Corte Penale Internazionale, l’organismo che ha emesso, nei confronti di Vladimir Putin, un mandato di cattura internazionale.6 Non proprio una dichiarazione d’amore, insomma. A ciò si aggiunge la missione di addestramento congiunta tra i militari armeni e statunitensi. In sostanza, finché Mosca sarà impegnata (dunque distratta) in Ucraina, al suo limes caucasico non potrà garantire l’importanza e l’attenzione che merita.

Ma c’è dell’altro. Gli accadimenti del Nagorno Karabakh rischiano di minare alle basi l’impalcatura strategica su cui si fondava non solo il precario equilibrio nel Caucaso, ma anche e soprattutto la pseudo-stabilità raggiunta a fatica in Siria e Libia, dove turchi e russi si affrontano tatticamente sul campo. È probabile infatti che Ankara abbia intimato al partner azero di sfruttare il momento di distrazione e relativa debolezza della Federazione per attaccare. Cosa che potrebbe benissimo ripetersi nei teatri libico e siriano, appunto. Con Mosca occupata nel suo giardino di casa, è Ankara, forte della partnership con Washington e utilizzando il panturanismo come strumento d’influenza da Tripoli al Turkestan Orientale, a uscire come reale vincitrice dello scontro.

Per ciò che concerne infine la situazione sul campo, ci sono ottime – e poco rassicuranti – probabilità che l’escalation continui, con nuove operazioni belliche azere nei confronti dei territori controllati da Yerevan. Nella giornata di sabato 14, il premier azero Aliyev ha di fatti chiesto all’Armenia di aprire un corridoio lungo la regione armena di Sunik che colleghi il territorio azero alla sua exclave.7 Posto che l’Armenia non ha la capacità né il sostegno internazionale per opporsi a Baku, l’evolversi della contesa molto dipenderà dagli sviluppi dell’offensiva israeliana a Gaza.

Con la Russia impantanata in Ucraina e gli Stati Uniti, nonostante le dichiarate volontà di abbandonare il teatro mediorientale, occupati a sostenere Tel Aviv (che, a sua volta, sostiene Baku), gli azeri avrebbero campo libero per crearsi il corridoio geografico che li connetterebbero non solo al proprio exclave, ma direttamente all’alleato turco. L’unica incognita rimasta per la realizzazione dei sogni azeri e turchi potrebbe essere Teheran.

Se infatti le operazioni israeliane a Gaza portassero all’apertura di un secondo fronte tra il Libano e la Siria, con la conseguente entrata in guerra di tutto l’arco sciita a sostegno di Hezbollah ed Hamas, le conseguenze geopolitiche per il Medio Oriente sarebbero impronosticabili. Teheran potrebbe decidere di colpire preventivamente in Azerbaigian strutture israeliane, nonché impedire con la forza l’accerchiamento turcico che abbiamo tentato di raccontarvi. Congetture, certamente, ma a quel punto cosa farebbero Ankara e Washington che, ricordiamo, nel teatro siriano si affrontano più o meno amichevolmente? Quale posizione potrebbe assumere Riad, che mal sopporta tanto Israele quanto l’Iran e la Turchia?

Ai posteri l’ardua sentenza. Al momento, l’unica certezza parrebbe essere che, a partire dall’1 Gennaio 2024, l’auto-proclamata Repubblica dell’Artsakh cesserà di esistere. Per sempre.

 

 

Pietro Acerbis: Laureato in Storia all’Università di Torino con una tesi dal titolo: La dicotomia geopolitica terra-mare nel pensiero di Sir Halford John Mackinder. Dal 2021 collabora come autore di articoli e paper per Italia Strategic Governance occupandosi principalmente, ma non solo, di geopolitica della guerra d’Ucraina e delle relazioni USA-Russia-Cina. Dal 2023 è associato a Mondo Internazionale dove ricopre il ruolo di Researcher per l’area economica di G.E.O. svolgendo attività di ricerca e analisi dei contesti geoeconomici internazionali. Recentemente iscritto al master in Digital Export & Made in Italy della 24ORE Business School per sviluppare le competenze necessarie ad operare nel campo della consulenza (geo)strategica nell’internazionalizzazione d’impresa.

 

 

Bibliografia

https://www.opiniojuris.it/loblio-del-nagorno-karabakh/

https://it.insideover.com/schede/politica/nagorno-karabakh-storia-di-una-terra-contesa.html

https://www.repubblica.it/esteri/2023/09/20/news/nagorno_karabakh_attacco_azerbaijan_armenia-415083469/

https://www.washingtonpost.com/business/energy/2023/09/28/nagorno-karabakh-why-do-azerbaijan-and-armenia-dispute-it/0310bd64-5dff-11ee-b961-94e18b27be28_story.html

https://lieber.westpoint.edu/evolving-nagorno-karabakh-conflict-international-law-perspective-part-i/

https://www.cfr.org/global-conflict-tracker/conflict/nagorno-karabakh-conflict

Note:

1https://fidu.it/wp-content/uploads/Disinformazione-sul-conflitto-russo-ucraino-.pdf

2https://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/X2H-Xref-ViewHTML.asp?FileID=6823&lang=EN

3https://www.primeminister.am/en/statements-and-messages/item/2023/06/20/Nikol-Pashinyan-Speech/

4https://www.eunews.it/2022/07/18/lunione-europea-sigla-un-accordo-con-azerbaigian-per-raddoppiare-le-importazioni-di-gas-entro-il-2027/

https://www.reuters.com/business/energy/russia-proposed-oil-supplies-azerbaijan-via-baku-tikhoretsk-pipeline-2023-10-13/

5https://www.iranintl.com/en/202309094857

6https://eurasianet.org/armenia-ratifies-rome-statute-defying-russia

7https://asbarez.com/aliyev-again-threatens-to-forcibly-open-zangezur-corridor/