Febbraio dal latino “februare” ovvero “purificare” è il mese della purificazione e del ricordo dei defunti. Il nome di questo mese deriva da Februus, antica divinità Etrusca e dio della purificazione. Nella mitologia romana questa divinità è stata traslata in Febris, dea della febbre, associata alla guarigione dalla malaria. Febris era una divinità “minore”, dalla quale si cercava protezione contro i malanni febbrili, che in quel momento storico erano particolarmente presenti, soprattutto a causa della conformazione paludosa di molte zone dell’Italia. I Romani avevano imparato a conoscere e convivere con le cause della malaria, tanto da mantenere alcuni accorgimenti al riguardo. A tal proposito, Varrone nel De re rustica, con particolare attenzione rivolta alla costruzione di una casa scrive:
“animadvertendum etiam, si qua erunt loca palustria; et propter easdem causas et quod arescunt, crescunt animalia quaedam minuta, quae oculis consequi non possunt, et per aera intus in corpus per os ac nares perveniunt atque difficiles efficiunt morbos.”
“Bisogna pure evitare, se ve ne sono, i luoghi paludosi, perché vi si trovano minuscoli animali, che non sono visibili ad occhio nudo, i quali entrano nel corpo attraverso la bocca e le narici e causano serie malattie.”
Da un punto di vista cronologico Febbraio si trova in continuità con la via aperta da Giano a Gennaio. Pertanto era in questo mese che la purificazione spirituale si compiva, in modo da poter cominciare un nuovo ciclo annuale con il mese di marzo.
Difatti sia Gennaio che Febbraio, erano mesi “non conteggiati” nel calendario Romano, il cui anno solare cominciava a Marzo e finiva a Dicembre. I mesi invernali pertanto non venivano considerati, finchè Numa Pompilio non aggiunse i 59 giorni mancanti al calendario romano, facendo così coincidere il mese lunare con quello solare.
Febbraio conteneva festività complesse e articolate che facevano capo ai Lupercalia, la ricorrenza più importante di questo mese.
Procedendo in ordine cronologico, la prima importante festività di febbraio sono i Fornacalia, dedicati alla dea Fornax protettrice dei forni. Duravano dal 7 al 17 del mese, in cui si festeggiava la tostatura del farro e rappresentavano pertanto uno degli ultimi momenti dell’anno agricolo.
Durante questa festa veniva offerta alla dea mola salsa, ossia una focaccia sacra fatta con un impasto di farro abbrustolito.
La ricorrenza senza dubbio più importante del mese di Febbraio erano i Lupercalia, che avvenivano dal 13 al 15 di Febbraio in onore del dio Fauno Luperco, divinità campestre protettore dei boschi e delle greggi. Questa festività, la cui origine e funzione resta oggetto di discussione, aveva una natura purificatoria e propiziatoria. Difatti al centro di tali riti pagani, vi era il sacrificio al dio di animali (tipicamente un cane e una capra), e rituali propiziatori, fini in particolar modo, alla fertilità della terra e alla fecondità delle donne.
Queste cerimonie venivano effettuate all’interno di una grotta chiamata lupercale, sul colle Palatino; luogo che secondo la tradizione romana diede riparo ai due gemelli Romolo e Remo mentre venivano allattati dalla lupa. Ed è proprio questo mito che alcuni autori indicano come riferimento e origine dei Lupercalia.
A tal proposito, Valerio Massimo descrive così l’origine di queste festività:
“Lupercalium enim mos a Romulo et Remo inchoatus est tunc, cum laetitia exultantes, quod his avus Numitor rex Albanorum eo loco, ubi educati erant, urbem condere permiserat sub monte Palatino, hortatu Faustoli educatoris suis, quem Evander Arcas consecraverat, facto sacrificio caesisque capris epularum hilaritate ac vino largiore provecti, divisa pastorali turba, cincti obvios pellibus immolatarum hostiarum iocantes petiverunt. Cuius hilaritatis memoria annuo circuitu feriarum repetitur.”
“Infatti la festa sacra dei Lupercali ebbe inizio per opera di Romolo e Remo, quando, esultanti per il permesso avuto dal loro avo Numitore, re degli Albani, di edificare una città nel luogo in cui erano nati, sotto il colle Palatino, già reso sacro dall’arcade Evandro, fecero per esortazione del loro maestro Faustolo un sacrificio e, uccisi dei capri, si lasciarono andare, resi allegri dal banchetto e dal vino bevuto in abbondanza. Allora, divisosi in due gruppi, cinti delle pelli delle vittime immolate, andarono stuzzicando per gioco quanti incontravano. Il ricordo di questo giocoso rincorrersi intorno si ripete da allora ogni anno.”
Ed è proprio seguendo questo schema, che Plutarco nella Vite Parallele, ci descrive in maniera dettagliata questi riti e la loro natura iniziatica. Secondo l’autore, durante i Lupercalia venivano iniziati due nuovi adepti, nella grotta del Lupercale. Dopo i sacrifici animali, questi venivano marchiati col sangue degli stessi, poi asciugato con un batuffolo di lana imbevuto di latte, a manifestare l’avvenuta purificazione. Seguivano poi corse intorno al colle, in cui gli iniziati, armati di una frusta, colpivano il suolo e le donne nell’intento di donare fertilità.
Andando avanti, tra il 13 e il 21 di Febbraio, si festeggiavano i Parentalia ossia cerimonie in onore dei defunti. Svolti prevalentemente in ambito familiare, questi riti pare abbiano origini antichissime. Sembra che a istituire i Parentalia sia stato Enea, accompagnato dalle sacerdotesse Vestali che curavano la parte religiosa, custodendo il “fuoco sacro” e offrendo sacrifici agli dei.
Interessante è notare come, nonostante la caducità e la vulnerabilità dei popoli antichi rispetto alle guerre e malattie, fosse saldamente insita nei Romani la cultura dell’aldilà e il rispetto verso la morte, tanto da rendere prevalentemente private queste celebrazioni funebri. Difatti durante i 9 giorni di celebrazione, erano chiuse le attività lavorative, i templi, e pertanto non era possibile sposarsi. Inoltre i Parentalia si concludevano il 21 Febbraio con i Feralia, giorno in cui venivano portati doni e offerte sulle tombe dei defunti, per orientare positivamente gli spiriti degli antenati, che in quei giorni si credeva vagassero liberi per la città.
Un’altra festività con origini molto antiche, erano i Quirinalia, festeggiate il 17 di Febbraio e dedicate a Quirino, una delle prime divinità italiche. Questo dio, in origine un’antica divinità Sabina, veniva identificato dapprima con Romolo e successivamente con Marte. Era il dio dei “quiriti” ossia dei liberi cittadini romani. Questo termine deriva da Cures, patria Sabina del secondo re di Roma, Numa Pompilio, situata sul colle Quirinale. Successivamente in seguito alle battaglie con i Latini di Romolo, questi due popoli si unirono divenendo un solo popolo nella nascente Roma. È da allora che l’utilizzo del termine Quiriti passò ad indicare tutti i Romani nella loro condizione di liberi cittadini dello stato.
I Quirinalia venivano anche chiamati stultorum feriae (festa degli stolti), poiché trovandosi nel momento culminante dei Fornacalia, rappresentavano l’ultimo momento per tutti i cittadini negligenti di compiere la torrefazione del farro. In questo modo tutti coloro che, per negligenza o per cause esterne, non riuscivano ad attuare gli ordini del curiale, potevano rimediare venerando il dio Quirino.
Avviandoci verso la fine del mese, il 22 Febbraio a Roma si festeggiavano i Caristia, noti anche come Cara Cognatio (Cara parentela). Dopo i giorni dedicati al ricordo dei defunti, con questa festività si celebrava la famiglia e la riconciliazione. Tutto il gruppo familiare allargato si riuniva privatamente banchettando, in una atmosfera di pace e affetto.
Il principio cardine di questa festa era la concordia, difatti era proibito creare qualsiasi dissidio familiare, tanto che gli elementi di disturbo alla quiete familiare venivano prontamente allontanati.
Ovidio descrivendo questo importante momento dice:
“I cari congiunti diedero il nome di Caristia al giorno
che segue, e tutti i parenti vengono a visitare gli dei
della famiglia. È di certo gradevole rivolgere lo
sguardo dalle tombe e dai parenti defunti a quelli
che vivono, e guardare, dopo i tanti perduti, quelli
che sopravvivono del nostro sangue ed enumerare le
diverse generazioni. E vengano gli innocenti! Lontano
da qui, lontano sia il fratello empio e la madre crudele
verso la sua prole, e colui che giudica troppo longevo
il padre, e chi conta gli anni della madre, e l’iniqua
suocera che perseguita l’odiata nuora.”
Il passaggio tra Parentalia e Caristia, designava un cambio temporale, dalla morte alla vita. L’inverno è ormai quasi al termine, siamo diretti verso una nuova stagione fatta di crescita e prosperità. Come tale bisognava lasciarsi alle spalle i mali invernali e ciò che il freddo si era portato via, era necessaria l’unione delle forze affinché il mos maiorum continuasse integro a guidare le generazioni future, nonostante i continui schiaffi e i dissidi della vita. Pertanto era necessaria si l’unione, ma al tempo stesso anche l’allontanamento di coloro che ripudiavano i principi chiave del mos maiorum e del quieto vivere di una comunità.
Nell’ultimo giorno del calendario romano, il 23 Febbraio, venivano festeggiati i Terminalia, un’antica festività dedicata al dio Termine, protettore dei confini. Questi era l’unica divinità romana che non accettava sacrifici ma solo doni per ornare i suoi simulacri.
Era un dio sacro nella vita agricola romana, poiché le statue realizzate in suo onore, molto spesso semplici pietre, ornavano i confini delle proprietà terriere romane. Ed erano anche un monito per coloro che volessero violare gli stessi confini, a non procedere oltre.
In occasione di questa festa, i proprietari di due terreni confinanti portavano offerte alla statua, ornandola di ghirlande e offrendo grano, miele e vino. Infine la cerimonia proseguiva con canti e preghiere al dio.
Non è un caso che tale festività fosse stata inserita nell’ultimo giorno del calendario romano. La figura di Termine sta, infatti, anche a designare il confine tra il mese di Febbraio e il primo mese dell’anno romano, Marzo.
Qui si conclude la via “purificatoria” delle festività di Febbraio, via che attraverso il culto della morte, attraversa la memoria e i ricordi di tutte le avversità invernali e giunge infine alla vita e a ciò che è sacro ed essenziale per quest’ultima per procedere oltre andando incontro alla primavera.
Domenico De Falco