Nella Terra promessa non è in corso l’ultimo ed ennesimo capitolo della pluridecennale guerra semifredda tra Israele e Iran. Si sta scrivendo una nuova pagina della competizione tra grandi potenze.
La competizione tra grandi potenze, volgarmente nota come Terza guerra mondiale in frammenti, è ufficialmente sbarcata nella tormentata Terra santa. Ne consacra il violento arrivo lo scoppio della prima guerra totale tra Israele e Hamas, che è molto più di ciò che appare e che parla la lingua multipolare.
Numeri, messinscena e composizione del cast fanno della guerra tra Israele e Hamas un unicum nella storia contemporanea delle guerre arabo-israeliane, che con la fine della Guerra fredda erano gradualmente entrate in una fase di stasi, lasciando (più) spazio alle guerre irano-israeliane, e che oggi potrebbero essere sul punto di iniziare una nuova vita.
I numeri di dieci giorni di scontri parlano di oltre cinquemila morti, di più di quindicimila feriti e di un milione di sfollati.
Era dalla Nakba che tanti palestinesi non erano costretti ad abbandonare le loro dimore in così poco tempo. Era dall’Olocausto che non morivano così tanti ebrei in un lasso di tempo così breve. Era dal lontano 1973 che Israele, lo stato-caserma custodito da Shin Bet e Mossad, non veniva colto di sorpresa.
La messinscena è già storia: le barriere con fil di ferro e occhi cibernetici che separano Israele e Striscia di Gaza superate dai soldati delle Brigate Ezzedin al-Qassam a bordo di deltaplani, bulldozer e paracaduti. La vittoria della fantasia sulla tecnologia. Un caso studio che troverà spazio nei futuri manuali sulle guerre irregolari e semi-simmetriche tra stati e non-stati.
La composizione del cast è multipolare. I protagonisti sono Israele e Hamas, i co-protagonisti sono Iran, Russia, Cina e Stati Uniti, le comparse che non si limitano a fare presenza, ma incidono sulla trama, sono decine e variegate: collettivi di hacker, gruppi paramilitari, organizzazioni terroristiche, specialisti di criptovalute.
Sogni, realpolitik ed escatologia nella Terra dei profeti
Addestratori iraniani, hacker e speculatori russi, trafficanti d’armi cinesi e nordcoreani. Questi sono gli ingredienti della ricetta esplosiva che ha permesso ad Hamas di cogliere Israele di sorpresa e che rendono questa guerra (molto) diversa dai confronti del 2021, del 2014 e degli anni precedenti.
Addestratori iraniani hanno preparato le Brigate Ezzedin al-Qassam, introducendole alle ultime tattiche e tecniche della guerra irregolare e istruendole all’inganno militare.
Hacker russi, come Anonymous Sudan e Killnet, sono accusati di aver accecato le difese cibernetiche della muraglia che divide Israele e Striscia di Gaza alla vigilia dell’attacco a sorpresa, mentre è certo, anche perché da loro stessi è stato rivendicato, il loro coinvolgimento in sabotaggi a siti web governativi e informativi israeliani.
Speculatori russi hanno consentito a Brigate Ezzedin al-Qassam e a Jihad Islamica di operare indisturbate nei criptomercati, dove hanno raccolto più di cento milioni di dollari nell’ultimo biennio, come ricostruito all’estero dal Wall Street Journal e in Italia da Elham Makdoum.
Trafficanti d’armi cinesi e nordcoreani, che protagonizzano i darknet market illegali che popolano l’oscuro darkweb degli affari illeciti, hanno trasformato le criptovalute raccolte da Hamas e Jihad Islamica in carichi di armamenti, dai fucili d’assalto Type-56 ai lanciarazzi F-7 HE-Frag, che poi sono finiti negli arsenali nascosti nella terra cava che giace al di sotto della Striscia di Gaza attraverso Egitto, Libano e Siria.
Mosca e Pechino hanno deciso appoggiare la battaglia personale di Tehran contro Tel Aviv, dopo aver trattato a lungo gli iraniani come dei partner di serie b, per un insieme di calcoli politici ed economici.
La Russia vuole (e deve) ricambiare i (tanti) favori ricevuti dall’Iran dalla guerra civile siriana ad oggi, anela a ricalibrare i rapporti di forza con Israele e, nei limiti del possibile, ne insegue l’indebolimento per mezzo terzi così da pubblicizzare se stessa presso la umma, la comunità islamica mondiale, del cui consenso abbisogna per agire tra Nordafrica e Medioriente e vendere i propri interventi in chiave antiamericana.
La Cina è in Palestina, dalla parte dei palestinesi, per avvolgere nell’insicurezza Israele, stazione centrale del futuro Corridoio India-Medioriente-Europa, rivale naturale della Belt and Road Initiative, per saturare le capacità attentive degli Stati Uniti, che vorrebbero traslocare dal Medioriente all’Indo-Pacifico, e per corteggiare la umma nel contesto della Transizione multipolare.
L’Iran ha bisogno di Russia e Cina perché nella umma è considerato alla stregua di un estraneo e non ha le risorse per affrontare il duo Israele-Stati Uniti e le conseguenze di una regionalizzazione del conflitto. Russia e Cina abbisognano dell’Iran e dei suoi proxy per farsi strada in quel campo minato che è il Levante-Mesopotamia.
Tutti e tre puntano a vincere gli Stati Uniti per sfinimento, orchestrando lo scoppio di crisi in simultanea per aggravare il costo della sovraestensione imperiale, e ad arruolare ampie porzioni della umma nella causa multipolare.
L’autore, Emanuel Pietrobon: Analista geopolitico, consulente e autore di vari libri, tra i quali “L’arte della guerra ibrida”, “La visione di Orban”, “Nella testa dello zar” e “Zelensky: la storia dell’uomo che ha cambiato il modo di fare la guerra”. Esperto di America Latina, geopolitica, guerre ibride e spazio postsovietico.