Il “golpe” Saied in Tunisia: la bacchettata francese alla Turchia e il ruolo dell’Italia

Il “golpe” Saied in Tunisia: la bacchettata francese alla Turchia e il ruolo dell’Italia

Pochi giorni fa il presidente della Tunisia, Kais Saied, ha posto fine al governo presieduto dal primo ministro Hichem Mechichi, ufficialmente per la responsabilità di quest’ultimo nella pessima gestione dell’emergenza sanitaria e della disastrosa situazione economica del paese nordafricano. Con il licenziamento del capo del governo di Tunisi sono anche state sospese l’attività parlamentare – congelata per trenta giorni – e l’immunità dei membri del parlamento.

Anche qui in Italia diverse testate[1] si sono occupate di riportare i fatti che stanno travolgendo la Tunisia, mancando però di sottolinearne l’effettiva rilevanza. L’accento posto sul “golpe” tunisino si riduce a quello puramente ideologico, derubicando il “colpo di stato” ad un mero fatto interno della Tunisia, che qui ha avuto spontaneamente origine e le cui cause e conseguenze rimangono ascritte all’interno del paese stesso; di conseguenza gli unici interrogativi sull’azione di Saied che vengono posti qui in Patria rivolgono tutti attorno all’aspetto puramente ideologico degli eventi. Ci si interroga sul futuro della Tunisia e della sua (già assai flebile) democrazia, nonchè sul destino delle (improponibili) Primavere arabe[2], iniziate proprio a Tunisi dieci anni or sono.

Le disquisizioni ideologiche certamente possono essere interessanti e appassionanti, ma se si vuole veramente comprendere le cause e la portata del colpo di forza del presidente Kais Saied è necessario guardare oltre la Tunisia ed analizzare il contesto regionale in cui questa si trova.

Infatti gli eventi che hanno turbato la pace nel paese nordafricano sono con ogni probabilità frutto del progetto, principalmente francese, volto a scardinare l’influenza turca nella costa meridionale del Mediterraneo. Turchia che già ha nella propria disponibilità la Tripolitania, a seguito del suo deciso intervento al fianco del GNU tripolino nella realizzazione della propria Mavi Vatan[3].

Così come in Libia, anche in Tunisia Ankara gode di una fortissima influenza per tramite del partito islamico moderato Ennahda (di cui è esponente il rimosso primo ministro Michichi e il cui leader Ghannouchi è il presidente del parlamento) afferente alla Fratellanza Musulmana, le cui azioni sono de facto dettate dalla Turchia e sovvenzionate dal Qatar, altro partner di primissimo piano dei Turchi. In uno stato di cose simile lo spodestamento dell’esecutivo Michichi non può che coincidere con un colpo direttamente inferto agli interessi turchi in Tunisia.

Date queste premesse, la potenza che più di ogni altra può desiderare il ridimensionamento dell’orbita turca non può che essere la Francia, la quale ha subìto l’espansione del soft power turco nella Françafrique nonché l’intervento di Ankara nelle Libie dove, ricorderemo, Parigi sosteneva (e sostiene tutt’ora) l’uomo forte della Cirenaica, Haftar. E l’ingerenza turca in un Paese appartenente alla tradizionale sfera di influenza francese come la Tunisia non può che esser vista con allarme dall’Eliseo.

Da qui non può essere sottovalutata la rilevanza della recente visita in Francia del presidente Saied risalente a metà maggio[4], immediatamente ricambiata dal primo ministro Jean Castex ai primi di Giugno[5]. Incontri durante i quali Saied potrebbe, come intuibile, aver ricevuto rassicurazioni circa il supporto francese alla sua presidenza e durante le quali potrebbe esser stato anche imbeccato dai francesi circa l’esecuzione del c.d. “golpe” messo in atto il 27 luglio.

In tutto questo qual è il ruolo giocato dall’Italia nelle vicende tunisine? Purtroppo, come intuibile, questo è molto marginale. Per quanto il dibattito ideologico possa essere in ogni caso degno di nota, come accennato sopra, questo ingessa l’operato delle Istituzioni, limitate anch’esse ai frivoli dibattiti sulla fine della democrazia in Tunisia e sulla necessità di ristabilirla e mantenerla. Tuttavia da tutto ciò non emerge alcuna nostra iniziativa sullo scacchiere geopolitico mediterraneo.

Mentre potenze estere si contendono aree di influenza anche rilevanti alle porte di casa nostra, e nonostante lo shock per la perdita della Libia subìto dal nostro Paese, l’Italia non realizza la gravità della situazione e non si adopera per ristabilire o cercare di espandere la propria influenza in paesi chiave come quelli nordafricani. Con la Tripolitania scippataci dai Turchi per colpa della nostra inazione, certamente la riduzione dell’influenza turca in Tunisia può essere positiva anche per l’Italia. Sopratutto perché l’evoluzione dello scenario politico in Tunisia avrà ripercussioni importanti sul futuro della Libia stessa[6]. Ma essa dovrebbe a sua volta agire per affermare il proprio ruolo nel Mediterraneo e sul fondamentale Stretto di Sicilia – cuore dei traffici commerciali nel fu Mare Nostrum e chiave per l’egemonia su di esso – nonché per impedire il dilagare del caos sull’altra sponda dello Stretto, che finirebbe per inghiottire la Sicilia e il nostro Paese intero.

È per questo che, ora più che mai, risulta necessario che la Nazione recuperi una propria visione strategica e che smetta di limitarsi al proiettare unicamente la propria influenza economica. Perchè questa, da sola, è insufficiente, parziale e, in ultima analisi, irrilevante. L’Italia deve riprendere coscienza di sè stessa e della sua collocazione nello schacchiere mediterraneo ed europeo, rimettendosi in gioco nel nostro mare (ma non solo) in chiave strategica e contrastando le aspirazioni turche, nonché cooperando e contrastando allo stesso tempo la Francia: nella prima accezione in chiave anti-turca e anti-russa (nonché per influenzare positivamente gli Stati Uniti, che nei Francesi vedono da sempre il loro partner europeo ideale) e nella seconda con riguardo agli interessi della nostra Nazione.

Se non riusciremo a scrollarci di dosso la limitante visione esclusivamente economicista che impregna le Istituzioni e, allo stesso tempo, dell’ipocrita convinzione che la strategia sia un’anticaglia ormai inutile e anacronistica, rimarremo “una nave sanza nocchiere in gran tempesta”. E sarebbe fin troppo facile intuire cosa accadrebbe nel momento in cui l’occhio del ciclone verrà portato sul nostro Paese.

Risvegliarsi o perire, questa è la sfida che l’Italia dovrà vincere nel prossimo futuro.

 

Christopher Fucci

Note:

[1] www.corriere.it; www.rainews.it; www.ansa.it.
[2] www.repubblica.it.
[3] www.limesonline.com.
[4] www.elysee.fr.
[5] www.lemonde.fr.
[6] www.limesonline.com.