Il mito di Roma: la nostra eredità

Il mito di Roma: la nostra eredità

Quando Renovatio Imperii pubblicò l’articolo Siamo davvero eredi di Roma? aveva il desiderio di inserirsi nel dibattito circa la nostra eredità storica. In seguito alla pubblicazione del programma politico, è doveroso riprendere in mano tale discussione poiché, com’è evidente, il mito di Roma è alla base dell’associazione stessa.

Più un argomento è delicato, più le parole pesano. Si voglia allora riflettere sull’uso di “eredità”. Essere eredi di Roma: fa tremare i polsi, se ci si pensa. Sì, perché parliamo dell’impero per antonomasia, nonostante esso non sia il numero uno per nessuno dei record “tecnici”. Né per espansione, durata, numero di abitanti, di soldati o ricchezza. Eppure, se chiediamo a un bambino di disegnare un’automobile, la farà rossa. Allo stesso modo, immaginare un impero significa tracciare i confini del 117 d.C. (ci perdonerà Enzo Ferrari se lo abbiamo parafrasato). Chi può davvero dirsi portatore di un passato del genere?

I più attenti avranno notato che si è usato il termine eredi, e non discendenti. Non a caso, aprire la questione della successione sanguigna chiamerebbe in causa studi genetici che trasformerebbero la discussione in un ginepraio. E soprattutto, porterebbe la scienza nel campo della memoria, dove non ha nessuna pertinenza. Si può essere eredi senza essere discendenti, e viceversa. Condividere il sangue non significa per forza cogliere l’eredità (anche se la legge italiana garantisce una percentuale, ma sorvoliamo). Soprattutto, però, si può essere nominati eredi senza avere alcuna parentela. Si può essere adottati, anche dalla Storia.

Per provarlo, ci faremo aiutare da un paio di esempi che sono molto significativi in tal senso. Parliamo degli scozzesi. A livello genetico, il Regno Unito è molto più complesso del classico binomio celtici vs germanici, ossia scozzesi (e altre regioni ribelli) contro gli anglosassoni di Londra. Esistono almeno 17 clusters, dove addirittura alcuni “celti” della Cornovaglia sarebbero più vicini agli inglesi che a scozzesi o gallesi. Questo non ferma gli abitanti del Nord dal percepirsi un’etnia a parte: eredi, non discendenti, degli eroi che nel corso dei secoli hanno resistito alle invasioni degli inglesi.

Ancora più curioso ed attuale, il caso di Taiwan. Gli abitanti di Taipei non solo rimarcano con forza la loro discendenza dagli aborigeni dell’isola di Formosa, ma addirittura riscoprono con piacere il passato di dominazione giapponese. L’occupazione che portò all’assimilazione dei taiwanesi fu molto feroce, ma oggi Taipei guarda comunque a Tokyo. Sembra inutile dirlo, ma meglio chiarire: il 96% della popolazione di Taiwan è cinese han. Tuttavia, spaventata dall’idea di perdere la propria sovranità, abbandona la discendenza per indossare la più utile maschera dell’eredità anticinese.

Veniamo dunque a noi. L’Italia ha ben poco in comune con Scozia e Taiwan, ovviamente. Tuttavia anche noi dovremmo, e sarebbe ora, imparare la differenza tra eredità e discendenza, tra memoria e Storia. Perché, anche se è vero che la correttezza e la scientificità dello studio del passato sono un patrimonio da custodire con gelosia, non possiamo permettere che esso rimanga nelle biblioteche. La Storia è politica, non nel senso partitico/ideologico, bensì come sinonimo di impegno civico e collettivo.

Questa riflessione è stata allegata alla figura di Augusto per un motivo ben preciso. Il princeps ripescò i valori repubblicani, il passato e il mito di Roma, per immaginare il futuro. Senza alcuna vergogna plasmò la memoria dei romani per lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra civile. Una rivoluzione passiva. Renovatio Imperii vuole partecipare a questa riscoperta del passato, culturale e quindi anche politica. Con una certa sfacciataggine, altre nazioni occidentali hanno utilizzato i miti e la simbologia della Città Eterna per giustificare la propria potenza nel mondo (inglesi e americani in testa). Ancora una volta, eredi, ma sicuramente non discendenti. E chissà che allora anche questo paese riesca a risolvere i tormenti del proprio passato. Ma non basta studiarlo, bisogna anche trovare una visione coerente.

In questo senso, Renovatio Imperii partecipa concretamente a questa missione. La divulgazione della storia romana (e non solo) è un passaggio imprescindibile, ma è solo il primo passo. Per riappropriarsi del passato e slegarlo una volta per tutte dal fascismo non basta lo studio accademico: è necessario il dialogo con le istituzioni, nazionali e locali, affinché vengano smossi fondi per progetti di interesse culturale, o per aiutare le migliaia di associazioni di promozione sociale che già esistono sul territorio. E anche in questo caso, Renovatio Imperii è in contatto coi comuni di Milano e Roma Capitale.

Infine, ma non per importanza, serve un’attenzione e una tutela reale del patrimonio artistico, attività che l’associazione ha sempre svolto denunciando l’incuria in cui versano molti, troppi, siti archeologici. Ciò non sarebbe stato possibile senza la partecipazione entusiasta dei tantissimi sostenitori di Renovatio Imperii. A dimostrazione che la nostra è una battaglia di civiltà, e in molti ne condividono le ambizioni.

Roma deve tornare a far parte dell’immaginario collettivo della penisola, a testimonianza della nostra presenza attiva nella Storia e quindi nel mondo. C’era un sogno che era Roma, direbbe Ridley Scott. Un sogno da far tremare i polsi.

Matteo Gravina

L’autore:

Matteo Gravina frequenta il corso magistrale Diplomazia e Relazioni internazionali presso l’Università degli studi di Padova. Ha conseguito il master SIOI in Sicurezza Economica, Geopolitica e Intelligence. È analista geopolitico per Italia Strategic Governance.