Come è noto, la guerra russo-ucraina ha sconvolto gli equilibri internazionali, rendendo il quadro delle relazioni globali irriconoscibile rispetto al 2021.
In questi mesi, si è visto un radicale riposizionamento dell’Unione Europea, essendo quest’ultima spesso inquadrata internazionalmente come soft power, senza la volontà né la capacità di agire militarmente. Da subito, i paesi membri dell’Unione Europea hanno reagito anche autonomamente alla situazione, passando dagli aperti sostenitori dello sforzo bellico ucraino, come la Gran Bretagna e i paesi di nord e Europa orientale, fino ad arrivare ai più tiepidi paesi latini, oltre alla Germania.
Eppure quasi tutti i paesi del continente (e non solo) hanno in qualche misura fornito equipaggiamenti pesanti e leggeri all’Ucraina (in quantità di cui è difficile avere contezza), e lo hanno fatto anche paesi ufficialmente neutrali, come la Svezia1 e la Finlandia2. Altri paesi, come l’Austria, anch’essa secondo la propria costituzione paese neutrale, ha permesso il passaggio di armamenti attraverso il proprio territorio3.
La Carta delle Nazioni Unite e il sistema delle relazioni internazionali dopo la seconda guerra mondiale hanno reso praticamente obsolete le dichiarazioni formali di guerra, e ad ogni modo queste non sono applicabili ad un supporto militare che non implichi il dispiegamento delle truppe di un paese terzo a supporto di una delle parti del conflitto. Eppure i livelli di supporto economico e materiale, entrambi praticamente garantiti sine die e senza condizioni all’Ucraina, equivalgono nei fatti ad una partecipazione al conflitto fra Russia e Ucraina.
Si può forse parlare del ritorno della cosiddetta “non belligeranza”?
La non belligeranza fu inventata dalla diplomazia fascista nel 1939, quando il sistema delle relazioni fra la Germania e gli anglo-francesi stavasi rapidamente deteriorando, e in seguito venne raccontata come una fase dai tratti più comici che drammatici. Alla vigilia dell’invasione della Polonia, Mussolini fece redigere e poi modificò di proprio pugno un affidavit in cui si richiedeva alla Germania, come presupposto per la partecipazione italiana al conflitto imminente, una quantità intenzionalmente spropositata di risorse. Il Duce aumentò volutamente le quantità richieste in modo da rendere impossibile una risposta positiva da parte dell’alleato germanico, e la lista divenne nota come “lista del molibdeno”, visto che nel documento si richiedeva una quantità di questo metallo superiore allora alla capacità di produzione mondiale annua. Fu una fase tragica della storia italiana, in cui per l’ultima volta si considerò di restare al di fuori del conflitto, prima che le “decisioni irrevocabili” portassero l’Italia verso la catastrofe.
I paesi europei si possono pienamente definire come non belligerante rispetto alla guerra russo-ucraina? Sembra ormai di sì, specialmente per quello che riguarda gli inesistenti tentativi di portare le parti al tavolo dei negoziati. Si tratta sicuramente di una fase storica senza precedenti, in cui persino i neutrali come Svezia e Finlandia spiccano per interventismo e per l’asprezza della retorica, mentre le voci storicamente più moderate come quella della ex cancelliera tedesca Angela Merkel vengono a malapena riportate dalla stampa4.
La scorsa edizione della Conferenza di Sicurezza di Monaco, forum annuale sintesi delle varie anime anglo-europee in tema di sicurezza, ha avuto luogo lo scorso febbraio, prima dell’aggressione russa all’Ucraina. Già in quei giorni, però, si sottolineava il rafforzamento del legame atlantico come chiave di volta di una architettura di sicurezza del continente. Non è ancora dato sapere come si svolgerà la prossima edizione fra pochi mesi, ma al netto della completa distruzione economica, sociale e culturale dell’Ucraina e dell’inattività politica (al contrario di un grande impegno militare) dei paesi dell’Unione nel merito, come si potrà ricostruire una base di stabilità sul continente? Sarà probabilmente il ritorno di un approccio alla Russia come grande “malato d’Europa”. E allora si potrà anche riflettere sulle implicazioni anche etiche, ma soprattutto politiche e morali di quella che sembra molto una non belligeranza dell’Europa verso la maggiore catastrofe avvenuta in questo secolo sul suolo di questo continente.
Orlando Miceli
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