Il sogno di Roma e il mito di Augusto sono due facce della stessa medaglia, parti inscindibili di una rivoluzione politica, costituzionale e culturale che, caso unico nella storia, fu attuata senza ricorrere alla coercizione e al terrore. Detentore negli anni della guerra civile contro Antonio di poteri eccezionali in virtù di un “consenso universale”, lungi dal voler governare in uno stato di emergenza permanente, Ottaviano dopo la vittoria restituì ogni prerogativa al Senato che allora gli conferì il titolo di Augusto, letteralmente “degno di venerazione”.
Il sogno di Roma di Augusto era basato sull’auctoritas
L’architrave del nuovo sistema era l’auctoritas del principe, una superiorità rispetto agli altri magistrati non giuridica, bensì carismatica e questa fu l’essenza della “rivoluzione passiva” – espressione del giurista, storico e patriota Vincenzo Cuoco – attraverso la quale la società romana venne trasformata dall’alto senza stravolgere le istituzioni repubblicane.
Rivoluzionare, conservando lo status quo, impresa in apparenza impossibile, eppure realizzata per mezzo di due strumenti fondamentali: la tribunicia potestas e l’imperium proconsulare maius et infinitum.
L’una garantì l’inviolabilità della persona di Augusto, oltre al suo potere di convocare il Senato, far votare plebisciti, porre il veto sulle decisioni degli altri magistrati e tutto ciò senza mai assumere formalmente l’incarico di tribuno.
L’altro, invece, era un potere proconsolare senza limiti territoriali, appannaggio del principe che in tal guisa, pur non essendo governatore di provincia, aveva il comando supremo delle truppe sparse in tutto l’Impero.
Augusto restauratore della Repubblica
Conscio che i Romani non avrebbero accettato di essere sudditi di un re, Augusto si presentò come il restauratore della Repubblica e degli antichi costumi, facendo del ritorno all’antico il vero progresso della società e della creazione di un optimus status l’obiettivo della sua azione riformatrice.
A tal proposito, scrive Svetonio, egli non intervenne sulle magistrature esistenti, creando piuttosto nova officia, ossia nuovi incarichi distribuiti tra il ceto senatorio e quello equestre in un’ottica di profondo rinnovamento della classe dirigente.
Furono create quattro prefetture (urbana, del pretorio, dei vigili e dell’annona) e, pur non essendovi interferenze nel funzionamento delle corti di giustizia permanenti, fu stabilito che l’albo dei giudici fosse perpetuo e non più annuale, quindi composto da“professionisti” del diritto nell’ambito di un nuovo ordine giudiziario.
Inoltre, ai più eminenti giuristi fu attribuito lo ius respondendi ex auctoritate Augusti, ossia la facoltà di dare pareri vincolanti poiché garantiti dall’autorità del principe.
Il passo successivo fu una costante opera di propaganda volta a plasmare una nuova religione civile nella quale tutti potessero riconoscersi e a tal fine fu determinante il contributo dei letterati dell’epoca riuniti nel circolo di Mecenate.
Nacque così il culto non della personalità, ma dell’immagine di Augusto, emblema del ritorno della pace dopo un secolo di guerre civili, celebrato nell’Eneide da Virgilio il quale scrisse:
“Tu ricorda, o Romano, di dominare le genti; queste saranno le tue arti, stabilire norme alla pace, risparmiare i sottomessi e debellare i superbi”.
La costruzione dell’Ara Pacis simboleggiò l’avvento del “secolo augusteo”, con frontiere sicure e concordia interna, un’età dell’oro che si sarebbe protratta per quasi trecento anni.
La realizzazione del sogno di Augusto
Rimasto al potere fino alla morte, Augusto realizzò il suo destino, sapendo che coincidesse con quello di Roma, mai dimentico della fiducia riposta dai cittadini delle colonie e dei municipi italici che nel 32 a.C., allo scadere del secondo triumvirato, lo avevano scelto come guida nella guerra contro Antonio e Cleopatra.
Egli riporta questo avvenimento nelle Res gestae: “Iuravit in mea verba tota Italia sponte sua, et me belli quo vici ad Actium ducem depoposcit” (L’Italia intera mi giurò fedeltà spontaneamente e volle me come capo nella guerra che vinsi ad Azio).
Parole chiare e semplici, la migliore risposta a chi pensa che l’Italia come nazione abbia solo 160 anni quando, invece, le sue radici spirituali traggono linfa dal sogno di Roma e dal mito del Divino Augusto, Padre della Patria.
Jacopo Bracciale
L’autore
Laureato cum laude in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Teramo con una Tesi in Teoria generale del Diritto, assistente della cattedra di Diritto romano presso lo stesso ateneo e funzionario amministrativo presso il Consiglio di Stato. Assiduo lettore di saggi storici, grazie a Renovatio Imperii ha scoperto un fortissimo interesse per le vicende legate all’antica Roma.
Fonti:
“Augusto” di A. Fraschetti, Editori Laterza, 2020 “Augusto e l’Alto Impero” di M. Felici, Solferino, 2021
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