Italia ed Europa orientale

Italia ed Europa orientale

Fin dall’alba della Roma repubblicana, l’Italia ebbe intensissimi rapporti con i popoli della regione oggi nota come Balcani. Oltre alla dominazione romana, che si interruppe solo con la caduta della pars occidentalis (e in alcune regioni solo in seguito con il declino bizantino), vi fu una fitta storia di interazioni culturali, come dimostra anche la indelebile impronta latina lasciata in Dacia e ancora oggi sopravvissuta in Romania. La storia militare (e quindi istituzionale) romana è inoltre disseminata dalle gesta dei tanti generali e imperatori provenienti dalla regione – fra i più noti Aureliano, Costanzo Cloro, Massimino il Trace, Giustiniano. In seguito la Serenissima Repubblica riuscì a instaurare una lunga tradizione di dialogo e di scambi economico-culturali che resero i popoli ad Est della Dalmazia degli attori chiave nel mantenimento delle linee commerciali e militari veneziane, fino a prendere una forma proto-geopolitica, frutto della necessità di equilibrismo fra Ottomani, Bizantini1 e potentati locali2. La triste storia del ventesimo secolo non deve comunque distrarre dal fatto che italiani e slavi hanno spesso convissuto in koinè politico-culturali come Zara e Ragusa uniche nel loro genere, fino alla catastrofe fra 1940 e 1945.

Fu poi attraverso il Partito Comunista Italiano, nel dopoguerra, che l’Italia riuscì a mettere presto da parte l’espansionismo fascista (alla Germania, ad esempio, forse non è mai riuscito del tutto), riuscendo in qualche modo a normalizzare i rapporti oltre cortina nonostante le questioni relative ai territori già italiani della Jugoslavia. A livello di diplomazia formale, fu nel 1989 che nacque un primo approccio multilaterale alla regione dei Balcani estesi, con l’inaugurazione della cosiddetta “Quadrangolare”, i cui membri fondatori furono Italia, Jugoslavia, Ungheria e Austria. Questo forum aveva lo scopo di rinsaldare i rapporti fra due paesi chiave, Austria e Italia, e i paesi ormai più evidentemente proiettati verso il superamento del socialismo reale. In seguito, divennero membri anche la Cecoslovacchia e la Polonia, e si ridenominò la “Quadrangolare” in Iniziativa Centro-Europea (INCE).

La tragica disgregazione della Jugoslavia, della quale beneficiarono soprattutto Francia e Germania3, fu forse il primo colpo alla diplomazia sovrana italiana, in un periodo estremamente travagliato per la Repubblica quale furono gli anni ’90. Le successive ondate di allargamento della CEE/UE ad Est dettero una ulteriore spallata al rapporto fra Est europeo e Italia: anche formalmente, i primi interlocutori divennero Berlino e Bruxelles. Da allora l’Iniziativa Centro-Europea non è mai riuscita a divenire ciò per cui era stata pensata, tant’è che anche chi studia relazioni internazionali spesso ne ignora l’esistenza. Il segretariato della INCE è tuttora attivo con sede a Trieste, città altamente simbolica per il storico ruolo di fulcro fra popoli latini, germanici e slavi. Ma sono poche decine di persone che vi lavorano, e spesso le attività sono concentrate su iniziative di carattere tecnico-economico, come lo stanziamento di fondi4 con cifre pur notevoli ma di poca rilevanza nel contesto di una macroregione come quella dell’Europa balcanica e orientale5.

Anche l’Iniziativa Adriatico-Ionica, incentrata sull’omonima area, ha le stesse limitazioni.

Eppure, dopo il ritiro dell’Austria nel 20196, questo rimane formalmente un grande forum che include tutti i paesi ex-comunisti dell’Europa orientale, ad eccezione di Russia e Baltici, in cui l’Italia è di gran lunga il paese più popoloso e l’economia più forte. Ma questa opportunità sembra rappresentare ancora oggi una occasione persa per ristabilire un rapporto particolare fra Italia e Europa balcanica e orientale, lasciando la parte del leone all’Unione Europea. Non vi è peraltro una vera componente di diplomazia culturale, nonostante i paesi dell’INCE siano i luoghi di origine di quasi il 40% di tutti gli stranieri residenti in Italia (con i Rumeni al primo posto, ben oltre il milione), fattore che da solo sarebbe una grande arma che il nostro paese può e deve utilizzare quandunque sia possibile.

In tutto ciò, c’è poco di cui stupirsi, visto che da almeno un decennio l’Italia difetta di una vera e propria politica estera multilivello. Per quanto spesso le emergenze spostino più l’attenzione su Libia e Mediterraneo, è necessario prendere coscienza di tutte le opportunità che non stanno venendo sfruttate, e l’Europa orientale è proprio una di queste.

 

Orlando Miceli

 

Note:

1 Cfr. Grygiel, J. J. Great Powers and Geopolitical Change. John Hopkins Universitz, 2006. pp. 51-87.