È il ventotto maggio del 1453. Nell’emiciclo che fu del senato, dietro alle porte bronzee originariamente al tempio di Artemide a Efeso, hai addosso centinaia di occhi. Sei sfibrato dalla fatica delle ultime settimane, ma ti sforzi di sedere dritto sul trono. Ti duole il collo: la corona pesa, soprattutto ora. Hai rifiutato sdegnato di abbandonare il tuo popolo e la tua capitale nonostante le suppliche dei consiglieri. Un capogiro minaccia di farti svenire. Come l’ultimo dei tuoi soldati, non fai un pasto decente da giorni. La brezza della notte increspa appena le tende damascate, portando l’eco dei tamburi del nemico. Chissà, forse Cristo provava le tue stesse sensazioni nel Getsemani? Scuoti appena la testa scacciando il pensiero blasfemo. Nel silenzio rotto solo dal crepitio dei bracieri, tendi i muscoli indolenziti e ti alzi. Inspiri a fondo, ingoi l’afflizione e alzi il mento.
“Leali sudditi, compagni d’armi, amici carissimi. Il momento della verità è giunto”. Le tue parole echeggiano tra le volte di marmo. “Tra poche ore, l’infido nemico che da cinquantasei giorni non ci dà tregua prenderà d’assalto questa nostra città di Costantinopoli. La battaglia sarà tremenda, ma dalla nostra parte avremo la forza delle Schiere Celesti e di nostro Signore Gesù Cristo. Con l’aiuto di Dio, nessun infedele siederà sul trono di Roma infangando la porpora imperiale”. Nella platea dei convocati, ognuno dei volti smagriti ti fissa senza perdersi una parola. “Ai nostri concittadini greci, diciamo che ci sono quattro cose per cui un uomo deve sempre essere pronto a morire: la Fede, la patria, la famiglia e il sovrano. Avete l’occasione di difendere nello stesso momento tutti questi capisaldi della vita.
Siatene degni e ricordate: è il sangue degli eroi, di Achille e di Ulisse, che scorre nelle vostre vene”. Hai la gola secca. Deglutisci. Lacrime virili solcano le gote dei tuoi fedeli ufficiali greci mentre sposti lo sguardo sui visi dei comandanti latini. “Agli amici italiani e catalani vanno i nostri più sentiti ringraziamenti. Il vostro coraggio è stato encomiabile fin dal primo giorno di guerra, e siamo sicuri che non verrà meno proprio ora. Siamo certi che onorerete la memoria dei legionari del passato da cui discendete e vi batterete con onore”. Il tuo cuore salta un battito. Le ginocchia sembrano cedere, ma con uno sforzo riprendi il controllo.
“Non temete lo scontro, né il numero soverchiante dei nemici, né le loro armi. Innalzate il vostro spirito, siate valorosi e risoluti, e a Dio piacendo al sorgere del sole la capitale dell’Impero sarà ancora un faro di civiltà saldamente nelle nostre mani!”. Un tenue bagliore di speranza si accende negli occhi di chi ti guarda. Nonostante la disperazione, nelle tenebre senza confine, una fiammella arde ancora. In bilico tra la morte e la vita, tra la vittoria e la sconfitta, tra l’abisso e la gloria, un’idea tanto ovvia quanto straordinaria ti balena in mente: perfino l’imperatore dei romani può morire. Ti umetti le labbra e abbassi la voce. “Affrettiamoci ora, l’Eucarestia in Santa Sofia sta per cominciare. Prima di andare, però…vogliamo chiedere perdono a ognuno di voi nel caso in cui vi avessimo offeso con una qualunque delle nostre azioni”.
Scendi dalla predella e ripeti la stessa frase a ciascuno dei convocati. Non c’è più alcuna gerarchia, alcuna differenza. Solo uomini che combattono per un’idea, antica ma immortale. Solo uomini che combattono per difendere l’ultimo scampolo di Roma.
L’autore: Nasce a Milano alla fine di maggio nel 1992. Appassionato da sempre di storia, cresce divorando romanzi e saggi relativi ai più disparati periodi storici, con una particolare passione per Roma in ogni sua età. Dopo il liceo classico, si laurea in economia e continua a coltivare la passione per la storia e la narrativa con il progetto del suo primo romanzo storico attualmente in lavorazione.
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