Nietzsche, sull’utilità e il danno della Storia per la vita

Nietzsche, sull’utilità e il danno della Storia per la vita

“Certo, noi abbiamo bisogno di storia, ma ne abbiamo bisogno in modo diverso da come ne ha bisogno l’ozioso raffinato nel giardino del sapere, sebbene costui guardi sdegnosamente alle nostre dure e sgraziate occorrenze e necessità. Ossia ne abbiamo bisogno per la vita e per l’azione, non per il comodo ritirarci dalla vita e dall’azione, o addirittura per l’abbellimento della vita egoistica e dell’azione vile e cattiva. Solo in quanto la storia serva la vita, vogliamo servire la storia.”

Nel turbinio di nozioni e emozioni che lo studio della storia, o il semplice ricordo del proprio passato, provocano nell’animo di ogni uomo, è facile smarrirsi, perdere la propria identità, la propria forza, la propria ambizione, fino a ritenersi esseri tardivi, vivi solo per contemplare e onorare ciò che fu. Nessuno potrebbe rappresentare questo rischio meglio di Simonide di Ceo, che, come vuole la tradizione, troverebbe un degno avversario nell’astuto Temistocle, schierato in difesa dell’oblio e dell’arte di dimenticare per una vita serena. A mediare tra queste due tendenze, in un’epoca dominata culturalmente da un soffocante storicismo fine a sé stesso, si interpose un giovane Nietzsche nella seconda delle sue “Considerazioni Inattuali”, il cui contenuto dovrebbe rappresentare un necessario metro di paragone per ogni appassionato o esperto di storia, se non per ogni uomo, e tenuto sempre presente, pur nelle sue criticità, come necessario stimolo a reclamare la propria indipendenza dal passato (storico e personale) ed anzi, ad asservirlo alla propria volontà e forza vitale.

In questo articolo sono riportati per sommi capi i principali concetti esposti nell’opera.

Rapporto tra Storia e Cultura

“Europeo troppo superbo del diciannovesimo secolo, tu vaneggi! Il tuo sapere non porta a compimento la natura, ma soltanto uccide la tua propria. Commisura almeno la tua altezza come uomo che sa, alla tua pochezza come uomo che può.”

La più importante accusa rivolta da Nietzsche all’epoca moderna è quella di aver reso “colto” e “storicamente colto”, de facto, dei sinonimi, andando ad individuare l’origine della cultura nella reminiscenza di saperi passati e nella loro sterile venerazione. La ricerca di una simile conoscenza si tramuta quindi in un’ingordigia di fatti e nozioni fine a sé stessa, in cui il presente è ridotto a uno dei tanti tempi, ed invero a quello di minor valore, in quanto successivo alla grandezza delle opere passate. Gli uomini che vivono secondo una tale concezione della cultura diventano semplici epigoni, affamati solo di contemplazione e non già di creazione. Ovviamente in questa fase abbondano le critiche spietate allo storicismo Hegeliano, in particolare per la sua teorizzazione di un fine nella storia individuabile in un singolo tempo, rivestendo di futilità ogni epoca successiva a tale fine. A questa concezione Nietzsche contrappone l’idea che lo scopo dell’umanità non si risolva in un unico istante di sintesi, ma nei più grandi e valorosi uomini, perciò finché ancora l’umanità sopravvive nessun’epoca sarà un frutto tardivo, ma un’ulteriore opportunità per l’uomo capace di creare sopra di sé. Eppure, in un tempo in cui storicismo e positivismo prendono il sopravvento, muore ogni istinto creativo e il presente si rivolge in maniera critica verso sé stesso, annientando ogni cosa nuova la cui sola esistenza è percepita come un oltraggio verso le cose antiche. Un mondo simile trasforma persino la filosofia in una semplice speculazione interna che mai potrà trovare un’applicazione nelle azioni dell’individuo, a differenza di quanto accadeva in età greco-romana. E’ infatti questa la prima fondamentale differenza, secondo Nietzsche, tra la cultura dei popoli antichi e la pseudo-cultura storica moderna: che all’interiorità contemplativa dell’uomo moderno non corrisponde alcuna esteriorità creativa. Sarà dunque necessario trovare dei modi di rapportarsi alla storia che permettano ai popoli e agli individui di non venirne annichiliti; poiché la vera cultura è sempre un qualcosa di presente, le cui protagoniste sono le continue innovazioni dei più grandi uomini.

I Pericoli della Storia come Scienza e l’Esistenzialismo Storico

“Il vero storico deve avere la forza di coniare di nuovo ciò che è noto in qualcosa di mai sentito e di annunciare ciò che è universale così semplicemente e profondamente, da far dimenticare la profondità per la semplicità e la semplicità per la profondità”

Eppure la storia non è quasi mai analizzata e tramandata da “veri storici”, ma da interi popoli o civiltà che si pongono incautamente a giudici delle epoche passate, traendo da esse una morale negativa o addirittura non traendo alcuna morale. A partire da questa folle pretesa di oggettività l’uomo moderno guarda il passato con l’obbiettivo di una conoscenza scientifica, scevra da emozioni, da volontà, privata dei fatidici: “E se…?”. In tal modo “un fenomeno storico, conosciuto in modo puro e completo e ridotto a fenomeno di conoscenza, è, per colui che l’ha conosciuto, morto (…). La storia, pensata come scienza pura e divenuta sovrana, sarebbe una specie di chiusura e liquidazione della vita per l’umanità. L’educazione storica è invece qualcosa che è salutare e promette futuro solo al seguito di una forte corrente vitale nuova”. Alla luce di ciò è evidente come la storia possa dare i suoi frutti solo in un rapporto stretto con l’individualità di colui che la indaga, conoscendo le proprie necessità, le proprie ambizioni ed asservendo ad esse lo studio del passato.

A precedere ogni “conosci ciò che fu” deve dunque esserci un “conosci te stesso” e da questa diade inizia il percorso dell’uomo verso il sommo monito di Nietzsche: “diventa te stesso”. D’altronde la storia non ha senso di esistere se non al servizio dalla vita, poiché con lo sparire della vita anche la storia cade definitivamente nell’oblio. In conclusione è pressoché necessario riportare uno dei più bei passi di “Così Parlò Zarathustra” come ulteriore argomento a favore di uno sviluppo passionale e vitale, piuttosto che rigorosamente scientifico, della propria esperienza (intesa anche in senso storico):

“Dov’è la bellezza? Là dove io devo volere con tutta la volontà; là dove voglio amare e tramontare, affinché un’immagine non resti solo un’immagine”.

Le Tre Specie della Storia

“Ciascuna delle tre specie di storia che ci sono è proprio nel suo diritto solo su un unico terreno e sotto un unico clima: su di un altro cresce come erbaccia che fa disastri. Se l’uomo che vuole creare qualcosa di grande ha bisogno davvero del passato, così se ne impadronisce mediante la storia monumentale; chi, al contrario, preferisce continuare nell’abitudine e in ciò che è onorato dai tempi antichi, si cura del passato come uno storico antiquario; e solo colui al quale una preoccupazione del presente opprime il petto e che vuole ad ogni costo scrollarsi di dosso il peso ha la necessità della storia critica, cioè giudicante e condannante. Da un malaccorto trapianto di piante non proviene niente di buono: il critico senza necessità, l’antiquario senza misericordia, il conoscitore della grandezza senza il potere della grandezza sono spuntati come erbacce, piante estraniate al loro terreno naturale e perciò degenerate.”

Come ormai si è più volte ripetuto, l’utilità della storia, secondo Nietzsche, consiste nell’infondere forza agli individui per condurre una vita attiva all’insegna della volontà e della passione. Invero il filosofo sostiene che i grandi atti destinati a passare alla storia abbiano origine dal momentaneo oblio del passato e dal puro amore dell’uomo nei riguardi dell’azione che si appresta a compiere, dunque un’azione cieca che proprio in quanto tale è la più fedele manifestazione dell’essere individuale di chi l’ha compiuta. Nondimeno la storia è necessaria per altri tipi di agire, in forme diverse a seconda delle necessità del singolo. Esistono dunque tre specie della storia: la storia monumentale, la storia antiquaria e la storia critica; ciascuna offre diversi vantaggi, comporta diversi rischi ed è soggetta a diverse degenerazioni.

La storia monumentale serve a “colui che combatte una grande battaglia, che ha bisogno di modelli, maestri e consolatori, e che non può trovarli fra i suoi compagni e nel presente”, ed in questo senso sapere che grandi cose furono già possibili in passato è per l’uomo un mezzo contro la rassegnazione. Lo storico monumentale incorre tuttavia nel rischio di abbellire, falsificare o semplificare troppo il passato, dando risalto solo alla grandezza di certi eventi e non all’insieme delle circostanze che li resero possibili; inoltre ciò è solo quanto questa specie di storia può provocare in mano “ai potenti e agli attivi, siano essi buoni o cattivi: ma cosa causerà mai quando di essa si impadroniranno e si serviranno gli impotenti e gli inattivi!”. In un tale scenario (realizzato dalle correnti storiciste e positiviste ottocentesche) ciò che spicca per valore nel passato viene considerato l’unico tipo di grandezza possibile, soffocando tutto ciò che ancora può essere creato (collegamenti al concetto di “morale dei servi”, elaborato qualche anno più tardi dallo stesso Nietzsche, sono tutt’altro che fuori luogo).

A colui che custodisce e venera si addice invece la storia antiquaria la cui massima realizzazione consiste nel rendere piacevole, attraverso la conoscenza di un radioso passato, anche la vita più misera. Per l’uomo antiquario tuttavia la storia si articola in un orizzonte ristretto e tutto ciò che ne fa parte è avidamente accettato e venerato, senza porne in questione la reale bontà; inoltre un pericolo sempre presente è che la storia antiquaria, non avendo una funzione creatrice ma solo conservatrice, soppianti le altre specie della storia, stendendo sopra al passato un velo di sacralità che renda impossibile per un popolo opporsi a un vecchio costume, un vecchio culto, o una vecchio valore.

In conclusione vi è la storia critica, adatta a colui che soffre nel presente e condanna dunque il passato da cui quella sofferenza ha avuto origine. Lo storico critico agisce in un certo senso contro la storia e proprio per questo motivo corre il rischio di dimenticare di essere lui stesso un risultato di quel passato che combatte. Il rischio e dunque di sostituire alla storia reale una storia fittizia da cui si vorrebbe derivare, investendo tale forza in una crociata contro il passato che non è certo meno sterile della sua adorazione, poiché anch’essa si concretizza esteriormente come una privazione di energie all’agire vitale.

 

– Mattia Rossi –