La Cina e l’Italia sono due paesi molto diversi, e trovandosi ai due estremi opposti della massa continentale eurasiatica, i loro rapporti sono relativamente laschi e lo sono stati per la maggior parte della loro storia. Ciò non significa che non esista un mutuo interesse anche culturale, anche se oggidì la distanza fra le due culture rimane considerevole.
Eppure, l’Italia ebbe un ruolo chiave nella storia cinese come l’altro estremo della antica Via della seta. Più di recente, l’energica azione di Pietro Nenni, esponente di spicco del PSI, ebbe un ruolo fondamentale nel rompere l’isolamento internazionale della Repubblica popolare cinese.
Ad oggi, l’argomento più ricorrente in Italia riguarda il partenariato con la Cina siglato dal governo Conte I e in scadenza l’anno prossimo; ma l’Italia è veramente preparata ad impostare una propria politica strategica con un paese che è già fra i protagonisti del nostro secolo?
Storia dei rapporti fra Italia e Cina
I rapporti fra Cina e Italia hanno lontanissima origine, e si possono ricondurre alla lunga storia di entrambi i paesi, che rappresentano alcune delle culture più antiche e longeve ancora esistenti oggidì.
Nonostante alcuni tentativi di contatto già effettuati a più riprese durante l’antichità (sono note le ambasciate di Gan Ying, da parte cinese, e quella di Maes Titianus, per Roma), le relazioni formali rimasero sempre inevitabilmente inficiate dalle enormi distanze e dalla presenza di potenze ostili che si frapponevano fra i due paesi. I rapporti commerciali furono invece più stabili, e il maggiore esempio deriva dai viaggi di Marco Polo in oriente.
In epoche più moderne e nel contesto della Guerra Fredda, fu Pietro Nenni, eminente politico italiano a guida del PSI, a riconoscere il potenziale della Cina comunista e a guidare una delegazione socialista che nel 1955 entrò nel paese appena due anni dopo l’armistizio che aveva de facto portato a termine la Guerra di Corea.[1] Pochi anni dopo, anche Enrico Mattei si recò in Cina, con l’approvazione del governo, per discutere di affari.[2] Fu ancora fra 1968 e 1969, sotto il neoministro degli esteri Nenni, che alla normalizzazione sino-italiana fu data nuova spinta, e nel novembre 1970 la Repubblica Popolare Cinese fu riconosciuta dalla Repubblica Italiana, con un anno di anticipo rispetto all’ammissione della RPC all’ONU e all’occupazione del seggio al Consiglio di Sicurezza.
Ad una fase di rallentamento dei rapporti negli anni ’70, seguì una nuova fase di cooperazione all’ombra del nuovo corso economico-politico inaugurato da Deng Xiaoping, e durante uno dei periodi più esuberanti della storia economica recente italiana (si rammenti il sorpasso del PIL italiano su quello britannico nel 1986), furono le visite del presidente della Repubblica Pertini e del premier Craxi (non a caso a capo del PSI) a rilanciare i rapporti fra i due paesi.[3]
Negli anni ’90 l’Italia, anche per impulso del ministro socialista De Michelis, aveva promesso di partecipare al progetto di urbanizzazione di Pudong con 600 miliardi di lire[4], ma il crollo della Prima Repubblica portò alla completa interruzione di ogni iniziativa di politica estera, anche per quel che riguarda la Cina; di conseguenza, l’Italia perse il ruolo di primo piano che aveva avuto fino ad allora e il vuoto economico-diplomatico fu presto riempito da altri paesi.[5]
Nuova via della seta e prospettive future
Recentemente si è tornato a discutere dei rapporti fra Italia e Cina, soprattutto per via della scadenza incombente dell’accordo sulla cosiddetta “nuova via della seta” (Belt and Road Initiative, BRI), che era stato firmato dal primo governo Conte nel 2019. Il valore nominale dell’accordo, firmato durante una cerimonia a Roma dal ministro del commercio cinese e dall’allora vicepresidente del Consiglio Di Maio, era stimato valere circa 2,5 miliardi di euro, con un potenziale di 20 miliardi di euro.[6] L’accordo si poneva nel contesto di un graduale avvicinamento economico-politico che aveva acquisito slancio già nel 2015, con l’ingresso dell’Italia nella Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture (AIIB), che segnalava quindi la propensione ad aderire alla Belt and Road Initiative, oltre alla creazione presso il MISE di una “Task Force Cina” e alla firma congiunta di un memorandum d’intesa sulla cooperazione in paesi terzi.[7]
Questo documento, pur non vincolante, pose le basi per il miglioramento delle relazioni fra i due paesi in sei settori chiave[8]:
– dialogo politico;
– trasporti, logistica ed infrastrutture;
– commercio e investimenti;
– cooperazione finanziaria;
– rapporti umani e culturali;
– cooperazione allo sviluppo sostenibile.
Inoltre, dopo la sua creazione nel 2004, il Comitato Governativo Italia-Cina (organo bilaterale presieduto dai rispettivi ministri degli esteri) si è riunito già 10 volte.[9]
Da parte cinese si fa spesso menzione del ruolo che ebbe l’Italia nel rompere l’isolamento diplomatico della Cina popolare.[10] La retorica fra i due paesi è spesso ricca di riferimenti cordiali alla antica storia dei rapporti sino-italiani: è noto ad esempio che nel “China Millennium Monument”, eretto a Pechino nel 2000, sono solo due gli stranieri raffigurati come figure importanti nella storia cinese: Marco Polo e Matteo Ricci (un dotto missionario italiano inviato in Cina per una ambasceria papale).[11]
Oltre alla retorica, tuttavia, le considerazioni che si fanno in Cina sull’Italia sono meno magniloquenti e più pratiche. Le pubblicazioni cinesi fatte da studiosi collegati ad enti istituzionali cinesi spesso analizzano l’Italia senza filtri retorici, e ne evidenziano tutte le difficoltà politico economiche, con particolare enfasi sull’impatto negativo della crisi economico-finanziaria del 2008-2009 e il fallimento della politica estera italiana nel prevenire il collasso della Libia.[12]
L’ascesa di Matteo Renzi, la cui visita nel 2014 a Pechino impressionò molti funzionari cinesi, aveva fatto sperare in un “ritorno al passato” delle relazioni sino-italiane.[13] La brusca fine della parabola politica di Renzi a seguito del fallito referendum del 2016 fu uno choc per molti analisti cinesi,[14] e la loro lettura dell’Italia come un paese fortemente instabile dal punto di vista politico fu confermata allora e anche in seguito alle elezioni del 2018, con le vicende dei governi Conte I e II.[15]
Nonostante la scarsa considerazione dovuta alla recente storia politica, l’Italia continua a godere di un certo interesse da parte cinese, principalmente grazie alla sua vantaggiosa posizione geografica e alla forte presenza economica in Asia Centrale e nel Vicino Oriente, aree di grande interesse anche per la Cina.[16] Invero, l’Italia ha delle caratteristiche di forza e debolezza che rendono il nostro paese attraente per gli investimenti cinesi: da una parte vi è una considerevole base industriale, dall’altra lo stato di crisi economica praticamente endemica ci apre alla ricerca di capitali esteri.[17] Alcuni analisti cinesi, comunque, evidenziano lo scetticismo della popolazione verso la Cina, e raccomandano alle aziende cinesi di diversificare gli investimenti e di fare uno sforzo attivo per venire incontro alla sensibilità culturali italiane, specialmente per quel che riguarda temi come ambiente, retribuzioni salariali, e responsabilità sociale.[18]
Da parte italiana, il problema principale rimane la mancanza di una vera visione articolata e a lungo termine sui rapporti con la Cina popolare, anche per via dello scarsissimo interesse degli ambienti istituzionali nel formulare e discutere una vera politica estera che vada oltre gli affari correnti.[19]
Indubbiamente, l’Italia rimane un paese legato a doppio filo all’Unione Europea e alla NATO (ormai diventata un club politico più che uno strumento militare), e questi vincoli esteri hanno avuto e continuano ad avere un ruolo nella postura italiana verso la Cina popolare.[20]
Tuttavia, un paese in grado di uscire dalla propria dimensione regionale deve essere capace di formulare un piano strategico autonomo. Il governo Meloni appena insediatosi a novembre aveva dichiarato di voler approfondire i legami commerciali con la Cina,[21] ma già ad inizio marzo la questione del rinnovo dell’accordo sulla “nuova via della seta” (in scadenza nel 2024) aveva fatto emergere un fronte politico favorevole al ritiro dell’Italia dall’iniziativa.[22]
Per molti versi, è l’Italia ad avere l’iniziativa,[23] ma una politica titubante e contraddittoria verso la RPC non farà che peggiorare il capitale reputazionale del nostro paese (e non solo in Cina), specialmente in un periodo in cui il si va delineando un approccio di grande strategia della Cina verso la grande piattaforma eurasiatica.
Questo non vuol dire necessariamente accettare passivamente partenariati di grande respiro offerti da uno o l’altro paese. Sarebbe invece necessario e auspicabile rispondere con una propria visione strategica, e adattarla in modo equanime ai partner stranieri nel principio della cooperazione e dei legittimi interessi di tutte le parti coinvolte.
Orlando Miceli
L’autore, Orlando Miceli – Fiorentino, classe ’95. Baccalaureato in Politikwissenschaft all’universitá di Vienna, studia a Trento per divenire consulente politico, con focus su economia politica, geoeconomia e geopolitica. Privatamente si interessa di storia, filosofia politica, strategia e sistemi d’arma.
Note:
[1] Cfr. Zane, C. Fifty years of Sino-Italian bilateral relations – Understanding the shared history to look at the future. In: Tesi di Laurea in Diplomacy and negotiation, Luiss Guido Carli, 2021. pp. 46. Reperibile a: https://tesi.luiss.it/id/eprint/29640 [ultimo accesso: 21/05/2023]
[2] Ibidem, pp. 51.
[3] Ibidem, pp. 77-81.
[4] Ibidem, pp. 86-87.
[5] Ibidem, pp. 88.
[6] https://www.reuters.com/article/us-italy-china-dimaio-idUSKCN1R40I0
[7] Zane, C. Fifty years of Sino-Italian bilateral relations – Understanding the shared history to look at the future. In: Tesi di Laurea in Diplomacy and negotiation, Luiss Guido Carli, 2021. pp. 94. Reperibile a: https://tesi.luiss.it/id/eprint/29640 [ultimo accesso: 21/05/2023]
[8] Dossi, S. Italy-China relations and the Belt and Road Initiative. The need for a long-term vision. In: Italian Political Science, 15, 1, 2020. pp. 60.
[9] Zane, C. Fifty years of Sino-Italian bilateral relations – Understanding the shared history to look at the future. Cit. pp. 101-102.
[10] Ibidem, pp. 95.
[11] Ibidem, pp. 94-95.
[12] Cfr. Dossi, S. Italy-China relations and the Belt and Road Initiative. The need for a long-term vision. Cit. pp. 65.
[13] Ibidem, pp. 65.
[14] Ibidem.
[15] Ibidem.
[16] Ibidem, pp. 66.
[17] Ibidem.
[18] Ibidem.
[19] Cfr. Ibidem, pp. 71.
[20] Zane, C. Fifty years of Sino-Italian bilateral relations – Understanding the shared history to look at the future. Cit., pp. 108-109.
[21] Cfr. Albanese, C. Italy Wants Deeper Trade Ties With China, Meloni Tells Xi. In: Bloomberg 16/11/22. Disponibile a: www.bloomberg.com/news/articles/2022-11-16/italy-wants-deeper-trade-ties-with-china-meloni-tells-xi#xj4y7vzkg [ultimo accesso: 02/06/2023]
[22] Cfr. Pascale, F. Italy still undecided on renewing partnership with China. In: Euractiv 10/03/2023. Disponibile a: www.euractiv.com/section/politics/news/italy-still-undecided-on-renewing-partnership-with-china/
[23] [23] Cfr. Dossi, S. Italy-China relations and the Belt and Road Initiative. The need for a long-term vision. Cit. pp. 71.