Le sanzioni dell’UE alla Russia: la preannunciata crisi energetica italiana

Le sanzioni dell’UE alla Russia: la preannunciata crisi energetica italiana

Ieri, nel suo discorso al senato[1], il Primo Ministro Mario Draghi ha annunciato l’imposizione di nuove sanzioni da parte dell’Italia e dell’intera Unione Europea contro la Russia per la sua invasione dell’Ucraina.

Draghi ha confermato l’entità delle sanzioni approvate mercoledì 23 febbraio avverso la decisione russa di riconoscere l’indipendenza delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, ricalcanti le sanzioni già inflitte alla Russia a seguito dell’annessione della Crimea e consistenti nel blocco di importazioni ed esportazioni dalle due neo-repubbliche, nonché in vere e proprie sanzioni economiche e finanziarie contro la Russia e contro i membri della Duma che hanno votato a favore del riconoscimento. Inoltre è stato confermato un ulteriore pacchetto di sanzioni in risposta all’invasione dell’Ucraina, approvato dal Consiglio Europeo e in discussione in queste ore a Bruxelles, il cui contenuto esatto è ancora in fase di specificazione (Draghi ha affermato che martedì 1° marzo renderà conto delle esatte misure prese) ma che si aspetta essere molto severo. In particolare sono previste nuove misure finanziarie, sul settore dei trasporti e dell’energia.

Proprio in quest’ultimo settore gravitano però le più grandi incertezze, tra l’altro sottolineate dallo stesso Draghi. Il blocco delle importazioni di gas russo in Europa rischia infatti di avere gravi conseguenze riflesse anche per i membri dell’Unione, e in particolare per l’Italia.

Oltre ad essere a rischio le rilevanti esportazioni e gli investimenti italiani in Russia, il Bel Paese si è infatti risvegliato, all’indomani dell’attacco russo, nel pieno di una grave crisi energetica. Il nostro Paese dipende per circa il 45% del suo fabbisogno energetico dal gas russo e le odierne sanzioni rischiano di risultare a dir poco compromettenti. Inoltre l’Italia, essendo uno dei paesi dell’Unione con le maggiori scorte di gas naturale, potrebbe doverne cedere una parte agli altri paesi del pari colpiti dalle sanzioni nelle proprie forniture[2].  Un’emergenza, questa, che di fatto era già annunciata da tempo, ma che non ha mancato di risvegliarci dal nostro consueto torpore.

Dipendere così tanto dal gas naturale importato dalla Russia avrebbe dovuto già da tempo portare la nostra Nazione a riconsiderare i propri approvvigionamenti energetici: con un Paese come la Russia, sempiterno (e in un certo senso, “preferito”) nemico degli Stati Uniti, era da ritenere preventivabile un possibile peggioramento delle relazioni tra gli schieramenti e una possibile imposizione di nuove sanzioni. Sanzioni che, con l’attuale colpo di mano moscovita, sono state approvate, colpendoci duramente tanto quanto il loro originale bersaglio.

Tuttavia negli ultimi anni nulla si è fatto in tal senso e si è, al contrario, andata acuendo la dipendenza energetica dalla Russia, con le importazioni aumentate del 27% negli ultimi dieci anni.

In particolare, nel giro di vent’anni la nostra produzione nazionale di gas naturale è colata a picco, passando dai circa 20 miliardi di metri cubi estratti a inizio degli anni duemila ai 3 miliardi nel 2020[3], e anche la debacle libica non ha contribuito nel mantenere sicuro un caposaldo delle importazioni energetiche italiane.

Ora, letteralmente ridottici a piangere “sul gas versato”, Draghi annuncia l’incremento delle importazioni del più costoso ma certamente più “democratico” gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti (sottolineando la mancanza in Italia di sufficienti rigassificatori: un fattore che certamente meriterà nel prossimo futuro adeguati investimenti) e la ricerca di nuovi partner commerciali per l’importazione di gas. Possibile nell’immediato anche la riapertura di centrali elettriche a carbone per soddisfare le richieste energetiche nazionali.

Afferma inoltre, e la notizia è del pari confermata dal “Piano per la transizione energetica” pubblicato dal Ministero per la transizione ecologica[4], che è stato programmato un sensibile incremento dell’estrazione del meno costoso gas naturale in Italia (il cui volume verrebbe sostanzialmente raddoppiato) in modo da arrivare a coprire all’incirca il 10% del fabbisogno nazionale.

I progetti del Mite sono certamente promettenti, ma si sono scontrati con le istanze del fronte ambientalista, ostile a qualunque progetto che non coinvolga fonti di energia rinnovabile e già sceso in piazza per manifestare il proprio dissenso[5].

Dati alla mano il nostro Paese rischia di pagare un conto molto salato per la sua leggerezza nel gestire il nostro fabbisogno energetico, e una situazione come quella attuale, di certo improvvisa ma non impensabile, ci ha portato inevitabilmente nel pieno di un’emergenza in piena regola. Sarebbe stato necessario strutturare in anticipo, in previsione di eventi come quelli odierni, una nuova politica energetica nazionale. Ciò non si è fatto, certo, ma ora più che mai risulta irrimandabile la pianificazione del futuro energetico patrio.

Quattro sono le fondamentali direttive che dovrebbero essere seguite nell’immediato futuro:

In primis, proseguire e approfondire i progetti già avviati dal Ministero per la transizione ecologica al fine di aumentare l’estrazione di gas naturale entro i nostri confini, operando un giusto compromesso tra estrazione e problematiche ambientali inerenti.

In secundis, essendo ovviamente sciocco pensare di poter realizzare un’autarchia energetica, trovare dei nuovi partner commerciali che forniscano il gas di cui il nostro paese abbisogna per colmare con sicurezza il nostro fabbisogno annuale (pari a 70/90 miliardi di metri cubi). Già è stato rimesso in funzione il gasdotto Green Stream[6], che potrà fornire una parte del gas: una fonte che resta assolutamente importante per quanto la scriteriata fuoriuscita della Libia dalla nostra sfera d’influenza potrebbe avere ricadute su quantità ed economicità del gas importato (evidenziando ancora quanto grave sia stata la nostra leggerezza nei confronti degli eventi libici di un decennio fa). Altre importanti fonti di approvvigionamento potranno essere i gasdotti TransMed (dall’Algeria/Tunisia) e il TAP dall’Azerbaijan.

In terzo luogo promuovere e incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili, da affiancare a quella ricavata dalle (via via sempre meno consistenti) fonti fossili. Già in questo senso si è espresso il Primo Ministro, che promette la semplificazione burocratica per l’installazione di impianti per l’energia rinnovabile. Ma il rinnovabile da solo non è sufficiente per soddisfare il nostro fabbisogno energetico attuale. Entra qui in gioco la quarta direttrice lungo cui il Paese dovrebbe muoversi, ossia il nucleare.

Oggi più che mai, infatti, si rende necessario rivalutare la nostra politica energetica nei riguardi dell’energia nucleare: le nuove tecnologie nel settore sono estremamente promettenti e, nonostante gli elevati costi iniziali e le tempistiche per l’avviamento degli impianti, il nucleare si conferma vitale per garantire al nostro Paese la necessaria sicurezza energetica[7], affiancata alle fonti rinnovabili e ad una via via sempre più ridotta quota di energia ricavata da fonti fossili.

La nostra mancanza di lungimiranza ci porterà a pagare per la nostra ingenuità, e già lo stiamo facendo. Di fronte agli ultimi sviluppi bisogna rendersi conto della necessità, per il nostro Paese, di una pianificazione a lungo termine, e non solo da un punto di vista energetico. L’Italia deve ritrovare la sua rotta, tornare nella storia da cui pensa, ingenuamente, di essere uscita. Altrimenti dovrà continuare ad accontentarsi di essere sballottata dalle onde, stupendosi ogni volta delle ovvie conseguenze di una così scriteriata condotta.

 

Christopher Fucci

 

Note:

1 https://www.lastampa.it/politica/2022/02/25/news/guerra_in_ucraina_il_discorso_integrale_di_draghi-2862812/

2 Il Sole 24 ore: Gas, cosa può succedere all’Italia se scattano le sanzioni UE contro la Russia.

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