Nel 2009 è avvenuta un’importante scoperta archeologica a Pioltello, in provincia di Milano. Come spesso accade, data la cronica mancanza di fondi, la scoperta non è stata frutto di ricerche mirate, ma del caso. Durante dei lavori di sbancamento, infatti, l’escavatorista si è accorto di un vuoto, si è fermato, e ha trovato una tomba a inumazione romana, dentro una cassa di laterizi. Contrariamente a quanto spesso accade, ha subito avvertito la Soprintendenza ed è stato così possibile non solo recuperare e documentare questa sepoltura, ma anche allargare l’area di scavo, dalla quale sono emerse altre tombe, a incinerazione, e delle trincee di spoliazione, ovvero scavi fatti già in antico per recuperare il materiale edilizio di muri dismessi, probabilmente di una villa.
L’elemento più interessante era certamente la tomba a inumazione che, in base al materiale di corredo, è databile ai primi decenni del III secolo d.C., vale a dire l’età degli imperatori Severi. Fra i pezzi del corredo il più pregevole è un bicchiere in terra sigillata, una ceramica fine da mensa con rivestimento rosso, di produzione gallica, e decorato con delle foglie stilizzate excise, vale a dire scavate nell’argilla essiccata prima della cottura. Erano presenti anche 2 assi come obolo a Caronte, databili alla seconda metà del II secolo d.C.: questa datazione un po’ più antica di tutto il resto non deve sorprendere, in quanto le monete nell’antichità potevano circolare molto a lungo e, dato che dalla tomba non si potevano più recuperare, è ragionevole pensare che se ne adoperassero di vecchie e consumate oltre che, ovviamente, di basso valore.
Quanto alle altre tombe a incinerazione, si riteneva inizialmente che fossero più antiche di quella a cassa, in quanto generalmente nel mondo romano il rituale incineratorio prevaleva nel periodo più antico, mentre nella tarda antichità si affermò sempre più l’inumazione, sia per “moda” che per influsso del cristianesimo; in realtà, dalle poche monete rinvenute, le tombe a incinerazione di Pioltello risultano più recenti, di fine III secolo d.C., e questa particolarità nell’uso locale dev’essere ancora spiegata.
Ma l’aspetto più interessante di questi scavi sono le indagini antropologiche sullo scheletro della tomba più antica, condotte dal laboratorio Labanof, un’eccellenza milanese legata all’Università degli Studi, che svolge analisi su resti umani, dalla Lombardia e da tutta Italia, sia in ambito forense che archeologico. In primo luogo, si è cercato di tracciare il cosiddetto profilo biologico dello scheletro: vale a dire determinare, in base a morfologia e misure delle ossa, il sesso, l’età, la razza (proprio così…), eventuali traumi e malattie ecc. Dunque, è risultato che si trattava di una donna, di circa sessant’anni e caucasoide (cioè bianca). Questa signora aveva probabilmente sofferto in vita di alcune malattie non meglio definibili, a causa della presenza sulle tibie delle “strie di Harris”, delle linee di arresto della crescita dell’osso dovute a uno stress, come una malattia o malnutrizione: si propende maggiormente per la malattia, in quanto la malnutrizione sembra poco compatibile con l’appartenenza a una classe abbastanza benestante, almeno a giudicare dalla sepoltura. In ogni caso sopravvisse a queste malattie o stress, se riuscì a giungere ad un’età di tutto rispetto per l’epoca. La donna presentava anche una vecchia frattura allo zigomo sinistro, che al momento della morte aveva ormai formato un callo osseo con notevole inspessimento di quella parte del volto. La frattura potrebbe essere stata causata da una percossa o da una caduta; forse nella stessa caduta, forse in un’altra occasione, si ruppe anche la gamba sinistra, con una frattura scomposta che, sebbene saldatasi, lasciò l’arto più corto, rendendola zoppa.
Alla fine delle indagini, si è passati alla ricostruzione facciale. Questa è una tecnica, metà scientifica e metà artistica, che cerca di ricostruire i volti dei defunti a partire dalle ossa craniche. Il metodo, che vede gli albori a fine Ottocento, è stato perfezionato nel Novecento in maniera indipendente da Russi e Americani, mentre più di recente le 2 diverse procedure sono state fuse assieme per un risultato più accurato. Sostanzialmente, a partire dal calco del cranio, vi si applicano in punti specifici i muscoli facciali (metodo russo) e i tessuti molli secondo degli spessori predefiniti e misurati sui vivi (metodo americano), per poi rivestire il tutto di pelle e dettagli vari. Sia nella scelta degli spessori di riferimento, che nella caratterizzazione finale, naturalmente, si tiene conto di quanto noto sul profilo biologico. Queste operazioni possono essere svolte sia fisicamente, come per la signora di Pioltello, sia a computer. La ricostruzione facciale, va detto chiaramente, non è affidabile al 100%, ma è un modo per rendere visibili, e dunque più immediate, le informazioni derivanti dallo studio scientifico. In ambito forense sarà forse in grado di innescare un ricordo, e dunque di far riconoscere un morto non identificato, mentre in ambito archeologico, come nel nostro caso, lo scopo è divulgativo, far rivivere il passato e rendere le persone che vi sono vissute più vicine a noi.
Che colpisce in questa ricostruzione è l’occhio sinistro mezzo chiuso, dovuto secondo il ricostruttore al callo osseo sullo zigomo che, premendo su determinati nervi, avrebbe provocato una ptosi palpebrale, cioè appunto un abbassamento della palpebra. L’artista forense è stato anche particolarmente abile a conferire alla signora un aspetto un po’ dolente, magari poco scientifico ma che rende bene l’idea delle sue traversie e forse anche in generale della vita nell’impero in tempi non più facilissimi. A mio avviso si sarebbe potuto fare di più sui capelli, piuttosto “neutri” e che potrebbero benissimo appartenere a una donna di oggi: se è vero infatti che le ossa nulla ci dicono sulla capigliatura, le acconciature alla moda del tempo, dettata dalla casa imperiale, sono ben note da statue e dipinti. In ogni caso è molto lodevole l’intento divulgativo e, se fosse applicato sistematicamente, anche solo tramite le più economiche tecniche a computer, molti musei inizierebbero a essere più vivi.
Filippo Molteni
Bibliografia
- D. Porta, Ricostruzione facciale, in C. Cattaneo, M. Grandi, Antropologia e Odontologia Forense. Guida allo studio dei resti umani. Testo atlante, Bologna 2004, pp. 215-223;
- L. Simone Zopfi (a cura di), Pioltello romana rivive, in Storia in Martesana 4 (2010).
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