A un anno e mezzo dal suo insediamento, Donald Trump ha rivelato un certo trasformismo in politica estera: quella che avrebbe dovuto rivelarsi un’amministrazione volta all’isolazionismo e al protezionismo, si è dimostrata essere in realtà in continuità con molte altre amministrazioni interventiste del passato.
Del resto era impensabile che la potenza egemone del sistema internazionale potesse ritirarsi completamente su se stessa, ignorando i suoi partners e i suoi avversari.
L’odierna situazione degli Stati Uniti è molto delicata: non sono pochi infatti gli osservatori politici che vedono il paese all’inizio di un lento declino.
I decisori americani si trovano di fronte a un bivio: continuare con la linea primatista, che vede gli USA come polizia del mondo e paladina dei diritti civili, o implementare una linea realista, che consisterebbe per esempio nel ritiro da certe zone del mondo, lasciando più responsabilità agli alleati.
Nonostante diverse dichiarazioni di Trump suggeriscano il contrario, l’attuale amministrazione sembra (fino ad ora) voler seguire il primo approccio.
Questo è un grande rischio per gli Stati Uniti: i disastri dell’interventismo delle passate amministrazioni, su tutte quella di George W. Bush, è ancora vivo nella mente degli americani.
Anche se la presenza di molteplici attori in Siria (e della Russia in particolare) sembra scongiurare un intervento terrestre da parte degli USA, il rischio di un’escalation è più che mai vivo.
Cosa potrebbe accadere se gli americani continuassero su questa linea?
In passato, il proseguimento di politiche primatiste ha sempre portato le grandi potenze a una fine violenta. Emblematico è in questo senso il caso dell’impero spagnolo tra 1500 e 1600: gli Asburgo fecero grandissimi sforzi bellici per affermare la loro autorità nei Paesi Bassi, che, con qualche riserva, possiamo definire il Medio Oriente dell’età Moderna. Gli spagnoli in 100 anni arrivarono a spendere in questo settore 218 milioni di ducati, un’enormità se si pensa che nello stesso periodo accumularono dalle miniere di metalli preziosi del Nuovo Mondo “appena” 121 milioni. Questo sanguinoso sforzo economico-militare contribuì in maniera decisiva nel decadimento della potenza asburgica in Europa.
Per fortuna americana, la storia offre anche esempi di imperi che riuscirono a rallentare il declino. Su tutti spicca il caso dell’impero romano: nonostante la compagine latina si collochi molto lontano da noi a livello temporale, il suo esempio, con le dovute cautele, fornisce una grande prova dell’efficacia della linea realista.
Nel III secolo infatti i romani si ritrovarono a fronteggiare una situazione di crisi drammatica: instabilità interna e aggressioni esterne erano ormai divenute una costante.
Il salvataggio dell’impero fu possibile solo grazie all’opera di Gallieno, Aureliano e Diocleziano, imperatori che compresero la necessità di attuare un particolare programma di razionalizzazione e “riallocazione” delle risorse economiche, politiche e militari.
In un’epoca dove la gloria in battaglia era tutto e la ritirata era considerata disonorevole, i decisori romani non ebbero scrupoli ad abbandonare consistenti aree geografiche (Dacia, Agri Decumates, parti della Mauritania e dell’Egitto) per ridefinire la propria strategia e rinforzare i settori più vulnerabili. Queste operazioni garantirono la sopravvivenza dell’impero per altri due secoli.
A differenza della Roma del III secolo, gli USA si trovano in un mondo marcatamente multipolare, dove tuttavia detengono ancora una posizione di grande superiorità rispetto alle altre potenze del sistema internazionale.
Gli americani sono pertanto pieni artefici del loro destino: starà a loro decidere se adottare una linea realista, abbandonando i settori ingestibili e concentrandosi sui possibili sfidanti alla loro egemonia (su tutti la Cina), o se continuare nel solco degli “interventi militari umanitari”, andando così incontro alle costose e violente conseguenze che porta una politica estera primatista.
In questo senso, la situazione siriana rappresenta uno spartiacque non da poco.