“The Very Old Folk”, l’incontro fra horror e storia romana

“The Very Old Folk”, l’incontro fra horror e storia romana

Nel corso dei suoi viaggi onirici tra inconcepibili orrori, il grande H.P. Lovecraft ci getta in un’avventura horror tra il folklore dei Pirenei nel pieno dell’epoca romana; è il racconto “The Very Old Folk”.

 

Sommo autore horror-fantasy, grande scrittore di racconti macabri e precursore della fantascienza: così, a dir di molti, può essere descritto Howard Phillips Lovecraft, altresì noto come il “solitario di Providence”. Si è soliti dividere la produzione lovecraftiana in tre grandi gruppi: i racconti macabri che risentono dell’influenza di E.A. Poe, quelli onirici ispirati dalla narrativa dell’irlandese Lord Dunsany ed infine il Ciclo di Cthulhu, dove l’autore trova la sua piena indipendenza nella creazione di un nuovo sottogenere letterario: il Cosmic Horror. A questo genere è legata la filosofia di Lovecraft chiamata Cosmicismo. Lo scrittore sostiene che l’esistenza umana non abbia il minimo valore, in quanto inserita all’interno di un cosmo sconfinato dal quale provengono meraviglie e orrori fuori da ogni comprensione. Questo concetto si differenza dal Nichilismo dei grandi Schopenhauer e Nietzsche, in quanto non verte sulla mancanza di senso nell’esistenza stessa dell’universo, ma piuttosto sull’insignificanza umana; insomma potrebbe anche esserci un senso ma è una cosa che non ci riguarda e che non possiamo neppure azzardarci a comprendere. Una grande rivoluzione portata da Lovecraft, legata all’oggetto stesso della paura nell’Horror, fu l’introduzione dell’innominabile e dell’incomprensibile, presentati con una maestria straordinaria. Destreggiandosi in descrizioni appena accennate e barocchi vortici di parole, Lovecraft getta il lettore in un ciclo infinito di orrori da cui non v’è uscita. Non dovremo più temere mostri folkloristici o folli assassini: tra le pagine degli scritti del Solitario gli orrori si nascondono nel tessuto stesso della realtà e, tramite un immancabile climax, vengono a galla entità che non possiamo in alcun modo combattere, contro cui non è possibile trovar scampo.

Fatte queste fondamentali premesse sulle opere dell’autore, possiamo dedicarci più nello specifico al racconto che portò gli orrori di Lovecraft in epoca romana. “The Very Old Folk”, tradotto come “L’Antichissima Gente dei Morti”, tratto da una lettera del 2 novembre 1927 destinata a Donald Wandrei, non venne mai elaborato per diventare un vero e proprio racconto e rimase sempre in forma epistolare; nonostante ciò lo scritto presenta molte delle caratteristiche tipiche della produzione lovecraftiana e della filosofia cosmicista. Come “Nyarlathotep” e molti altri racconti, anche questo deriva da un sogno partorito dalla tormentata psiche di Lovecraft. La storia si svolge in età tardo repubblicana a Pompelo, città della Spagna Citeriore la cui popolazione è terrorizzata dai blasfemi riti celebrati ogni anno, la notte prima delle Calende di novembre o di maggio, dai selvaggi abitanti delle montagne. Dopo varie discussioni, in occasione delle Calende di novembre i protagonisti decidono di radunare oltre 300 legionari per marciare contro i cultisti. Durante la salita lungo il versante del monte dove si stanno svolgendo i riti, la visione di gigantesche ombre appartenenti a orribili mostri e di altri terrificanti segni ed eventi gettano nel panico e nella follia sia soldati che cavalli, causando la rottura dei ranghi della coorte il cui destino resta incerto, sebbene venga riportato come Pompelo sia sopravvissuta sotto il nome di Pamplona.

Lo scopo principale del racconto è certamente mostrare come l’insignificanza dell’uomo rispetto alla realtà non dipenda dai suoi meriti ma dalla sua stessa natura, dunque l’umanità non è resa così misera da qualche vizio o colpa ereditato dall’età moderna, in quanto anche i grandi romani, dominatori del mondo, nelle loro armature scintillanti, vengono spazzati via dalle forze dell’ignoto. E’ impressionante, memori delle imprese delle legioni romane, immaginare una coorte annientata da un nemico invisibile, che probabilmente neanche si curava della presenza dei soldati e dell’infima minaccia da loro rappresentata.

Nel racconto sono presenti molti altri tipici espedienti lovecraftiani; in particolare, all’inizio l’autore si dilunga molto sulle cariche dei personaggi, i loro rapporti e i meccanismi burocratici messi in atto per dare inizio alla missione. Questa digressione, similmente a quella posta all’inizio di “Alle Montagne della Follia” e di molti altri scritti, non ha il banale scopo di creare un’ambientazione più credibile con cui arricchire il background narrativo: piuttosto distrae il lettore dai primi accenni di “stranezza” nel contesto del racconto, facendolo rassicurare dalla normalità di un thopos (come può essere nella narrativa storica la presenza degli elementi citati), creando così terreno fertile per l’inizio di un climax drammatico, alla fine del quale gli stessi elementi da cui si era tratto sicurezza appaiono come terribilmente insignificanti. Un perfetto esempio di questa tecnica si ritrova nel racconto “La Città Senza Nome”, dove è lo stesso protagonista ad utilizzarla in un disperato tentativo di confortarsi: “E la mia paura diminuì, perché un fenomeno naturale ha sempre il potere di farci dimenticare le elucubrazioni dell’ignoto”. E’ importante notare come l’amore di Lovecraft per la cultura greco-romana gli abbia permesso di ricreare (già in sogno o in seguito a una rielaborazione successiva) un contesto realistico, sia tramite un lavoro linguistico, con l’utilizzo di termini di derivazione latina, sia concettuale per la ricreazione di dinamiche estremamente credibili e adatte all’epoca.

Alcuni dei nomi dei personaggi derivano da quelli di celebri romani realmente esistiti; è curioso osservare queste connessioni che permettono di intuire da quali antichi Lovecraft era stato particolarmente affascinato.

Come è naturale, essendo il racconto ispirato a un sogno, è osservabile una ricca componente simbolica, che probabilmente almeno in parte va al di là delle intenzioni dello stesso Lovecraft. Primeggia per importanza il ruolo della montagna che, come in “Ricerca Onirica Dello Sconosciuto Kadath” e “Gli Ultimi Dei”, rappresenta il tortuoso cammino verso la conoscenza, al cui termine non si trova un mondo perfetto come secondo Platone, ma l’annientamento per mano di forze inconcepibili.

Mattia Rossi

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