La produzione filosofica di Hobbes costituisce la riflessione politica di più vasto respiro, dai tempi dell’Impero Romano, fino all’età Illuminista; ogni pagina dell’autore si concretizza in una romantica lotta all’arma bianca contro il più letale nemico dell’uomo: l’umanità stessa nella sua ferinità. Dove non giunge il potere politico, gli uomini, desiderosi l’uno dei beni dell’altro, danno origine al male sommo: la guerra, che può essere evitata solo per mezzo di uno stato e di un sovrano. Non è dunque difficile cogliere nesso tra il Leviatano (sovrano, che sia un singolo o un’assemblea) e i Dictatores tumultus causa o gereande causa. A differenziarli invece è la scelta di Hobbes di affidare al suo sovrano una carica vitalizia, ritenendo che dove non vi sia il potere assoluto si ricada, inevitabilmente, nell’abisso della guerra; addirittura il filosofo arriva ad imputare la caduta della Res Pubblica proprio alla condizione per cui tra “Il Senato e il Popolo di Roma, né Senato né Popolo rivendicavano tutto il potere” (Hobbes, Leviatano cap.29) delegando unicamente agli occasionali Dittatori la responsabilità di risolvere le crisi. Certamente la visione di Hobbes, apparirà a questo punto eccessivamente drastica, pur essendo determinata principalmente dal periodo storico di guerra civile vissuto dall’autore. Vi sono, tuttavia, altri aspetti in comune tra il Dictator e il Leviatano, ad esempio la superiorità rispetto alla legge civile, elemento che a Roma era reso dalla sospensione della Provocatio ad Populum. L’elemento che rende un Dictator romano più assimilabile con i valori giuridici dello stato contemporaneo è la sua subordinazione rispetto alla morale (Mos Maiorum); al contrario il Leviatano, per il suo potere di determinare la morale della nazione, è incompatibile con la modernità.
Discussa la figura del Dittatore nella sua massima realizzazione in Hobbes e, nell’ambito di una sua attualizzazione per mezzo dell’imposizione di necessarie limitazioni (mandato temporaneo e subordinazione alla morale) alla potestà di cui è rivestito, è il momento di chiarificare quali siano i fini verso cui debba volgere l’agire di questa istituzione. Hobbes, per iniziare, lascia assoluta libertà al suo Leviatano di prendere qualsiasi provvedimento ritenga propizio all’adempimento della sua funzione, ossia “il procurare la sicurezza del popolo, (…) per sicurezza qui si intende non una mera sopravvivenza, ma anche tutte le soddisfazioni della vita che ognuno possa procacciarsi con lecita industria” (Hobbes, Leviatano cap.30); questa riflessione è quasi perfettamente sovrapponibile a quella di Machiavelli, che affida al Principe i fardelli di mantenere sotto il suo controllo lo stato e di garantire il benessere dei cittadini. Nella Roma Antica a sostituire questi precetti vi erano il Mos Maiorum e gli esempi del passato, che davano a chiunque una chiara idea dell’onere che rappresentavano le più rare varianti della dittatura ed i valori che chi se ne faceva carico doveva rispettare. Tutte queste visioni restituiscono un’immagine abbastanza chiara della direzione che dovessero rispettare i provvedimenti dei Dictatores; il bene sommo era il bene comune, perseguito arrecando i minori disagi possibile alla popolazione. Da ciò è facile ricavare ottimi spunti di riflessione per la situazione presente in cui, pur con la necessità di imporre limitazioni alla libertà dei singoli, si è cercato sfruttare i mezzi a disposizione per attivare progetti di smart working e digital learning. La vita dello stesso Dictator non ha particolare importanza qualora egli riesca a servire adeguatamente lo Stato. A tal proposito nel suo Principe (cap.7) Machiavelli racconta l’episodio di Remirro de Orco, posto a capo della Romagna, appena conquistata da Cesare Borgia, per condurre una severa politica di pacificazione e unione della provincia, nel ruolo di un vero e proprio Dictator su modello romano. Dopo poco tempo Remirro fu processato per le crudeltà commesse e giustiziato, rendendo possibile allo stesso tempo la fedeltà della Romagna nei confronti di Valentino e la prosperità dei suoi cittadini (vista la sua rude ma efficace politica). Questo caso esemplare ricorda come, hobbesianamente, il Dictator, ottenuto il mandato, cessi di essere un individuo, diventando una personificazione dello Stato e agendo unicamente nell’interesse pubblico; solo con la sua morte Remirro assolse completamente il suo dovere.
In conclusione resta da stabilire quali siano i requisiti su cui basare la selezione di un “buon dittatore”. Migliaia di autori tra filosofi, politologi, teologi, storici e psicologi hanno nel corso della storia proposto le loro teorie ed ancora l’argomento è del tutto aperto; per lasciare alla curiosità personale l’eventuale approfondimento sul tema, è riportata una sola visione che trova in accordo due autori tra i più rivoluzionari della storia della letteratura: Niccolò Machiavelli e Isaac Asimov. Innanzitutto l’analisi condotta dal fiorentino si focalizza su doti come la costruzione di un’adeguata apparenza, l’utilizzo della “golpe” e del “lione” ossia la padronanza di razionalità e ferinità nei momenti opportuni e altri espedienti più situazionali che tutti possono esser riassunti nell’abilità del principe di prevedere i colpi della fortuna. Ma cos’è questa fortuna? E’ l’ineluttabile necessità storica, determinata da fattori riesumati da tempi remoti e dall’attitudine degli uomini nel presente, è, in altre parole, quella che Asimov definisce psicostoria. “Le leggi della storia sono assolute come quelle della fisica, e se in essa le probabilità di errore sono maggiori, è solo perché la storia ha a che fare con gli esseri umani che sono assai meno numerosi degli atomi” (Isaac Asimov, Fondazione e Impero; pt.2 Il Mulo). Secondo questi due autori l’abilità del Dictator, ossia in generale di colui che assume il comando in una situazione di crisi, non deve essere legata a doti morali o esperienza politica; chiunque può avere le carte in regola purché abbia una perfetta conoscenza della sua epoca storica e del modo in cui le masse rispondano a determinati stimoli. Una visione della storia, per proporre un ulteriore esempio, molto in linea con quella che Tolstoj ha della guerra. Seguendo questa linea spetterebbe probabilmente a Quinto Fabio Massimo la corona di miglior dittatore, avendo previsto con lungimiranza, seppur in vano, le reazioni dell’esercito di Annibale al logoramento e di un esercito romano ad un’ulteriore battaglia (che poi fu la Battaglia di Canne). Infine, seguendo sempre la prospettiva psicostorica, è Machiavelli nella dedica del principe a far chiarezza sull’ideale ambito di studi per un Dictator: “una lunga esperienza delle cose moderne et una continua lezione delle antique” (Machiavelli, Principe).
Mattia Rossi
Articolo pieno di spunti interessanti