I Romani, costretti a difendersi contemporaneamente sul fronte armeno e quello dell’Eufrate, non poterono impedire la caduta dell’Armenia, l’invasione della Siria e l’espugnazione di Antiochia (611), metropoli già devastata da molteplici, violenti terremoti. Ma non finì qui, perché l’avanzata persiana guidata da Shahin proseguì verso la Cappadocia, dove espugnarono Cesarea: a questo punto fu lo stesso Eraclio ad assumere il comando delle armate, assieme al fratello Teodoro, e tuttavia le forze romane subirono due ulteriori, gravose sconfitte che separarono i territori imperiali in Anatolia da quelli siriani e nord-africani. Poco dopo, a seguito di un assedio durato tre settimane, i persiani espugnarono Gerusalemme (614), massacrando oltre cinquantamila abitanti, riducendone molti altri in schiavitù e devastando i luoghi sacri: in particolare, la preziosissima reliquia della Vera Croce fu portata come trofeo a Ctesifonte, la capitale sasanide. Shahrvaraz, altro valente generale persiano [di fede cristiana], conquistò poi l’Egitto (616), vitale granaio dell’Impero e della sua popolosa capitale. Shahin, nel frattempo, proseguì la sua vittoriosa avanzata in Anatolia occupando Calcedonia, centro prospiciente la stessa Costantinopoli: quest’ulteriore sconfitta peggiorò il già basso morale dei cittadini, che potevano scorgere a non molta distanza gli accampamenti persiani.
Nel 621 quasi tutto l’Impero era occupato dai Persiani: ai Romani rimanevano solo la Grecia, l’Anatolia e i lontani esarcati d’Italia e di Africa. La situazione era veramente disperata, considerando che nello stesso momento gli Avari saccheggiavano i territori balcanici e la capitale era colpita da carestie [dovute alla sopracitata perdita dei rifornimenti egiziani] e pestilenze. Si dovette attuare a questo punto una radicale riorganizzazione, economica e militare: molte monete calarono di peso, ed è interessante notare come esse riportassero la scritta “Deus adiuta Romanis” (“Che Dio aiuti i Romani”), emblema del drammatico sconforto generale. La stessa Chiesa, sebbene disapprovasse fortemente l’unione dell’imperatore con la nipote Martina, mise a disposizione dello stato innumerevoli manufatti di grande valore, arrivando a spogliare la stessa Hagia Sophia, la Grande Chiesa della capitale.
Secondo Ostrogorsky, insigne bizantinista del secolo scorso, l’elemento determinante fu l’istituzione del sistema dei Temi, circoscrizioni territoriali all’interno delle quali risiedevano gli stratioti (dal greco στρατιώτης, “soldato”), piccoli proprietari terrieri chiamati alle armi in caso di conflitto.
Una volta ultimati i preparativi, Eraclio lasciò Costantinopoli muovendo verso Isso, in Cilicia: località, questa, che fu scelta per minacciare contemporaneamente gli eserciti persiani in Siria e in Anatolia. Intercettato da Shahrvaraz, intenzionato a sbarrargli la strada verso la Persia, lo vinse in battaglia a Isso (623), dopo aver prevenuto un’imboscata persiana e finto una falsa ritirata.
Pur intenzionato a proseguire la campagna vittoriosa, Eraclio dovette far ritorno alla capitale a causa di scorrerie avare in Tracia: cercando allora un accordo con Cosroe, gli offrì la possibilità di una tregua. La risposta che ricevette, tuttavia, fu di ben altro tenore: egli era definito dal persiano “stupido e inutile servo” nonché invitato a cedergli il trono, ammonendolo “Quel Cristo che non poté salvare sé stesso dagli ebrei, ma che essi uccisero… come potrà salvare te dalle mie mani?”.
Nel 624 iniziò allora la seconda spedizione persiana di Eraclio, alla guida di un esercito di circa venticinquemila uomini. Cosroe, per fermarlo, ordinò a Shahrvaraz di marciare verso ovest, convinto che Eraclio lo avrebbe inseguito: l’imperatore decise però di ignorare questa minaccia, penetrando in territorio armeno e occupandone la capitale. Il nemico ora, conscio dell’errore commesso, richiamò il distaccamento occidentale radunando un esercito, ma fuggì a seguito di un agguato ad un reparto delle sue guardie.
La via per la Mesopotamia era ora aperta, tuttavia, essendo l’inverno alle porte, Eraclio decise prudentemente di svernare nell’Albania caucasica, liberando inoltre cinquantamila prigionieri di guerra persiani, non mantenibili. Cosroe, a questo punto, avendo le sue truppe riportato ulteriori sconfitte, formò tre armate di cinquantamila uomini: una, per attaccare Eraclio, la seconda per impedire che quest’ultimo unisse le sue forze a quelle del fratello Teodoro e la terza, infine, per assediare insieme agli Avari Costantinopoli.
Quest’ultima forza non riuscì a collaborare con gli alleati, essendo i loro contatti impediti dalla superiore flotta bizantina; nonostante numerosi assalti, i difensori, in forte inferiorità numerica, opposero una strenua resistenza, esaltata dal fervore del patriarca Sergio. Quando poi seppero che Teodoro aveva sconfitto l’armata di Shahin, flagellata da una provvidenziale tempesta di grandine, sia gli Avari che i Persiani dovettero ritirarsi, dopo un assedio di un mese.
Lo scià decise allora di richiamare in Persia l’esercito di Shahrvaraz; i messaggeri persiani che dovevano informarlo degli ordini del re vennero però intercettati da Eraclio e le sue truppe; l’Imperatore decise comunque di lasciarli andare, dopo essersi però assicurato di aver sostituito la lettera originale di Cosroe II con un’altra in cui lo scià comunicava al generale che l’esercito persiano era riuscito a sconfiggere quello di Eraclio e di continuare ad assediare la città di Calcedonia. Dato il mancato arrivo di Shahrvaraz, Cosroe II pensò a un suo tradimento e di conseguenza inviò una lettera nell’accampamento persiano a Calcedonia in cui si ordinava al secondo in comando di uccidere Shahrvaraz. Il dispaccio militare finì però nelle mani del generale, che ingegnosamente inserì, dopo il suo, i nomi di altri 400 ufficiali; poi convocò tutti i soldati, chiedendo al Cadarigan [il suo secondo] se fosse disposto a eseguire gli ordini. I Persiani, vedendo la propria vita in pericolo, furono d’accordo con il proposito di Shahrvaraz di non obbedire più agli ordini di Cosroe II e di concludere una pace separata con i Bizantini. In questo modo Cosroe II si trovò privo del suo miglior generale.
Nella primavera del 627, l’Augusto lanciò l’offensiva finale contro i Persiani assieme agli alleati Cazari, proseguendola anche durante l’inverno. Presso le rovine di Ninive [antica capitale del regno assiro], il dodici dicembre 627, Eraclio affrontò l’esercito persiano comandato dall’armeno Rhazhadh: fu una giornata nebbiosa, e questo clima giovò all’esercito romano, che attirò i nemici in pianura fingendo una ritirata per poi capovolgere il fronte. Gli stessi cinquantamila Persiani liberati in precedenza, riconoscenti, si unirono ad Eraclio: la guerra, per la Persia, era dunque perduta; Cosroe fuggì a Seleucia, solo per essere detronizzato, torturato e ucciso dal figlio Siroe (salito al trono come Kavad II). Quest’ultimo ebbe però a sua volta vita breve, venendo assassinato da seguaci del generale Shahrvaraz, che ottenne il trono.
Eraclio, dopo queste grandiose vittorie, festeggiò il trionfo a Gerusalemme, nel 631. Sono in molti a credere che, se fosse morto in quel momento, Eraclio sarebbe passato alla storia come il più grande dei generali romani dopo Giulio Cesare… Ma entrambi gli imperi, romano e sasanide, dovettero presto sperimentare gli effetti rovinosi delle invasioni arabe: l’impero persiano crollò rovinosamente, mentre il vincitore dovette assistere impotente alla perdita della Siria, della Palestina, dell’Armenia e dell’Egitto.
Carlo Alberto Rebottini