Fu una delle più logoranti e complesse guerre della storia quella che si combatté dal 431 a.C. al 404 a.C. tra Atene, Sparta e relativi alleati. Oggi conosciuta come Guerra del Peloponneso, dall’omonima opera dello storico Tucidide che ne è la fonte più dettagliata e affidabile. In questo articolo analizzeremo il complessissimo periodo diplomatico che portò dalla firma della Pace di Nicia (421 a.C.) fino all’importantissima battaglia campale combattuta a Mantinea (418 a.C.).
Pace di Nicia
La fase Archidamica della guerra si concluse nel 421 a.C. con la firma, da parte dell’ateniese Nicia e del re spartano Plistonatte, della cosiddetta Pace di Nicia, la quale imponeva un periodo di 50 anni di tregua tra le due potenze, la restituzione da entrambe le parti dei centri precedentemente conquistati (in particolare Pilo e Anfipoli), l’impossibilità sia per Sparta che per Atene di negoziare autonomamente accordi con altre città e un’alleanza difensiva in caso di minacce esterne. A favorire la pace era stata principalmente la morte dei due generali che più si erano impegnati nelle operazioni belliche degli anni precedenti, ossia lo spartano Brasida e l’ateniese Cleone, entrambi deceduti nella Battaglia di Anfipoli. Inoltre sia Sparta che Atene si stavano ancora riprendendo dalle umilianti sconfitte ricevute rispettivamente nella Battaglia di Sfacteria (425 a.C.) e nella Battaglia di Delio (424 a.C.), tuttavia fu presto chiaro che nessuna delle parti aveva intenzione di attenersi alle clausole dell’accordo; ad Atene fu l’intraprendente Alcibiade ad impegnarsi maggiormente per la ripresa della guerra, mentre a Sparta, re Agide II, pur cercando di evitare il conflitto in ogni modo fu costretto dal susseguirsi degli eventi a prendere le parti degli alleati rimasti fedeli, ponendosi coraggiosamente alla testa della sua armata.
Primi attriti.
I primi attriti tra le due potenze si vennero a creare per i temporeggiamenti di Sparta con la restituzione di Anfipoli, e di Atene, che si rifiutava di rendere agli Spartani Pilo (città costiera occupata nel 425 dagli Ateniesi). Inoltre le varie città legate a Sparta manifestarono il loro malcontento per una tregua che non pareva giovare a nessuno e lasciava molte questioni in sospeso. Il Peloponneso fremeva. Mentre Corinto vedeva sempre meno di buon occhio gli Spartani, Argo, sollecitata da ambasciatori Corinzi, istituì un assemblea che potesse negoziare accordi con qualunque città lo desiderasse (eccetto Sparta e Atene, ancora vincolate dalle clausole della Pace), al fine di creare un sistema di alleanze abbastanza grande e compatto da poter strappare ai Lacedemoni la leadership sul Peloponneso, infatti la tregua trentennale pattuita tra Sparta e Argo era prossima a terminare. I primi ad accordarsi con Argo furono i Mantinesi (Mantinea era una città del Peloponneso centrale), che avevano occupato in modo illegittimo dei territori dell’Arcadia scatenando l’ira degli spartani. Li imitarono gli Elei (l’Elide è una regione del Peloponneso nord-occidentale), i quali erano in pessimi rapporti con Sparta a causa di una disputa riguardo città di Lepero. Nel mentre i Corinzi, disillusi dal rifiuto di Tegea di unirsi all’alleanza, decisero iniziare a prendere le distanze da Argo. Durante quell’estate gli spartani condussero un’incursione in Arcadia per strappare ai mantinesi le terre di cui si erano appropriati, a nulla valse l’alleanza con Argo, infatti quelle città furono liberate e rese indipendenti senza che Mantinea potesse opporre un’efficace resistenza.
Eserciti in campo
Col passare dei mesi le relazioni tra le varie città greche si inasprirono ulteriormente e iniziarono le prime mobilitazioni di vere e proprie armate. In questa fase al centro dell’attenzione generale c’era Argo, una delle poche potenze a non aver subito gli effetti devastanti e il logorio della Guerra Archidamica (a cui non aveva preso parte). Sia Sparta che Atene volevano guadagnarsi la sua alleanza e gli Argivi, inizialmente, intavolarono trattative con entrambe. Intanto gli Spartani negoziarono con i Beoti la cessione di Panatto (forte sul confine tra la Beozia e l’Attica) e dei prigionieri ateniesi detenuti in Beozia, da scambiare con Atene per la restituzione di Pilo, tuttavia questo accordo siglato da Sparta di sua sola iniziativa andava a violare le clausole della Pace di Nicia. Inoltre, prima di cederla ai legati Spartani, i Beoti rasero al suolo Panatto, perché non finisse nelle mani dei vicini Ateniesi. Questi si sentirono oltraggiati a tal punto che il giovane politico Alcibiade ebbe buon gioco nel persuaderli a stipulare un’alleanza difensiva con Argo (i Corinzi pur essendo ancora formalmente alleati degli Argivi non sottoscrissero il patto, a differenza di quanto fecero gli Elei e i Mantinesi). A nulla valsero gli sforzi di Nicia che inviato in ambasceria presso gli Spartani non riuscì a convincerli ad annullare il trattato con i Beoti. Una disputa tra Argo ed Epidauro (città fedele a Sparta) portò all’invasione da parte degli argivi del territorio di Epidauro che venne devastato e saccheggiato. Al contempo gli Spartani si misero in marcia con l’intera armata, cosa non da poco considerando che questa costituiva il più temibile e efficace esercito della storia pre-romana, tuttavia rimpatriarono a causa dei responsi negativi ai sacrifici. Si erano rotti gli indugi e le prime armate si mettevano in movimento pronte a scontrarsi sul campo: la guerra era ufficialmente ricominciata.
Alle porte di Argo
Gli Argivi condussero nuovamente incursioni sul territorio di Epidauro, devastandolo per circa un terzo, dopodiché rimpatriarono. Nel frattempo una nuova marcia degli Spartani era stata interrotta per segni nuovamente sfavorevoli, così si ritirarono anche i 1000 opliti ateniesi che Alcibiade stava conducendo per aiutare Argo a tener testa ai Lacedemoni. Durante quell’inverno Sparta riuscì a far giungere via mare 300 opliti a Epidauro, questo permise alla città di continuare a resistere alle offensive argive. L’estate successiva gli spartani si decisero a chiamare a raccolta gli alleati per condurre una spedizione punitiva contro Argo, comandata da Agide II, re di Sparta. I Tegeati e gli Arcadi fedeli a Sparta si unirono all’esercito lacedemone, mentre gli altri alleati si radunavano presso Fliunte (città del Peloponneso nord-orientale). Venuti a conoscenza di questi preparativi, gli Argivi si riunirono con i Mantinesi e con gli Elei (che fornivano 3000 opliti), e si misero in marcia riuscendo a intercettare le forze spartane prime che si ricongiungessero con gli alleati a Fliunte. Agide con una rapida marcia notturna riuscì a eludere l’armata argiva già pronta per la battaglia. Quando gli Argivi si resero conto di ciò tornarono in Argolide (regione di Argo) per poter contrastare l’imminente invasione. Agide fu molto abile, una volta riunitosi con gli alleati, a condurre l’attacco dividendo l’esercito in tre parti che dilagando nella piana di Argo da direzioni diverse portarono gli argivi a radunarsi su una collina, circondati da 3 lati e con la città alle loro spalle. La battaglia sarebbe stata il più importante scontro campale dai tempi della guerra contro Serse ed entrambe le parti giudicavano la loro posizione favorevole, confidando in un’epica vittoria. Tuttavia Agide decise di scendere a patti con gli argivi per la pace per non rischiare di perdere troppi Spartiati (gli indispensabili guerrieri di professione che rendevano temibile l’armata lacedemone). Gli eserciti si sciolsero e l’operato di Agide venne duramente criticato sia dagli alleati che dagli stessi Spartani, per rimediare il re si propose per condurre una nuova campagna tenendosi pronto ad uno scontro sul campo con gli avversari. Allo stesso tempo gli Ateniesi giudicarono non valida la pace stipulata tra Argivi e Spartani in quanto andava contro le clausole dell’alleanza con Argo, dunque entrambe le parti si prepararono a scendere nuovamente in campo per combattere la grande battaglia che ormai troppo a lungo era stata evitata.
La Grande Battaglia di Mantinea
La coalizione di Argo, Mantinea, Elide e Atene tornò all’attacco. Questa volta Orcomeno (città dell’Arcadia fedele a Sparta) fu il bersaglio designato, e in breve tempo venne costretta alla resa. Forti della vittoria, gli alleati si lanciarono contro Tegea, fatta eccezione per gli Elei che, delusi dal come erano state ignorate le loro richieste di attaccare Lepero, rimpatriarono. L’armata spartana di contro, dopo aver chiamato a raccolta gli alleati, invase la regione di Mantinea e qui si trovò nuovamente faccia a faccia con i nemici, ma Agide resosi conto che questi occupavano una posizione favorevole si ritirò cercando di stanarli dalle colline su cui si erano appostati. I soldati, facendo pressione sugli strateghi argivi, li convinsero ad iniziare l’inseguimento e il giorno seguente le due armate si fronteggiavano, per l’ennesima volta, pronte a darsi battaglia. Entrambi gli eserciti contavano circa 8000 uomini, ma il numero degli Spartani era leggermente superiore. Trovandosi inaspettatamente davanti all’esercito di Argo, Atene e Mantinea già schierato, gli Spartani dovettero prendere posizione in tutta fretta; sulla sinistra si disposero gli Sciriti (fanti leggeri provenienti dal territorio di Tegea) assieme ai reduci della campagna di Brasida in Tracia e ai Neodamodi (iloti liberati), al centro gli Arcadi, gli Spartiati e i Tegeati, mentre sulla destra si schierò un ulteriore manipolo di Spartiati. Sul fronte Argivo-Ateniese presero posizione, da sinistra verso destra: Ateniesi, alleati vari, Argivi, un corpo scelto di 1000 Argivi addestrati a spese pubbliche, Arcadi e Mantinesi (è bene precisare che la presenza di Arcadi su entrambi i fronti era dovuta alla frammentazione politica delle città dell’Arcadia). Le cavallerie disposte alle ali di entrambe le armate non ebbero, come consuetudine nelle battaglie oplitiche, un ruolo determinante. “A questo punto gli eserciti avanzarono i primi passi; gli Argivi e gli alleati si spingevano avanti con il cuore in tumulto, fremendo: “gli Spartani avanzavano con fredda disciplina al suono regolato di molti flautisti.” (Tucidide, “La Guerra Del Peloponneso”).
Le due armate continuarono ad avvicinarsi e la tensione data dalle proporzioni della battaglia, eccezionali per il mondo greco, accentuò il naturale movimento, tipico di ogni esercito oplitico, verso destra, causato dalla ricerca della protezione dello scudo del compagno vicino sul proprio fianco scoperto. Temendo che i reparti sulla sinistra spartana finissero in questo modo per essere accerchiati dai Mantinesi Agide ordinò agli sciriti e agli ex soldati di Brasida di distaccarsi dal corpo principale dell’esercito per fronteggiare direttamente gli opliti di Mantinea, nella falla così creatasi il re inviò due lochi di Spartiati. Il movimento dei contingenti tuttavia non avvenne in tempo, così Mantinesi e Argivi scelti penetrarono tra le fila dei Lacedemoni costringendone parte alla fuga. Nel mentre sul fianco destro gli Spartiati si trovarono in una posizione vantaggiosa sugli Ateniesi che non avevano in alcun modo limitato il movimento del loro esercito verso destra e vennero dunque accerchiati e schiacciati. Anche al centro i Tegeati e gli altri Spartiati erano riusciti ad avere la meglio sugli Argivi, grazie ad un’abilità nettamente superiore nel combattimento oplitico. Vinti i nemici in questi settori Agide decise di rinunciare all’inseguimento e volse le sue forze contro Mantinesi e Argivi scelti che ancora stavano avendo la meglio sulla sinistra. Quando anche questi furono accerchiati e costretti alla fuga la vittoria fu finalmente degli Spartani. I Lacedemoni contarono solo 300 caduti mentre la coalizione Argivo-Ateniese lasciò sul campo più di mille uomini: un numero non così modesto se si considera che non vi fu alcun inseguimento dopo la battaglia. Con questa vittoria, ottenuta senza il supporto dei grandi contingenti degli alleati Beoti e Corinzi, Sparta si riconfermò l’assoluta potenza terrestre tra le città greche e troncò le ali ai sogni di gloria e di dominio della rivale Argo una volta per tutte. La Battaglia di Mantinea inaugurò la ripresa della Guerra del Peloponneso nella sua fase Deceleica, che portò il centro delle operazioni belliche dai colli della Grecia continentale, alle acque solcate di onde dell’Egeo.
Mattia Rossi