La Prima guerra mitridatica

La Prima guerra mitridatica

Con il termine generico di “Guerre Mitridatiche” ci si riferisce a quella serie di conflitti che, nell’ultimo secolo a.C., prima dell’intervento decisivo di Pompeo, videro protagonista il Regno del Ponto, guidato dalla dinastia Mitridatica, nel suo tentativo di guadagnarsi un ruolo egemone sul Mar Nero e sulla parte orientale del Mediterraneo. Sogni di gloria che però si scontrarono con le ambizioni di un’altra superpotenza mediterranea dell’epoca: Roma.

Prima di gettarci nell’analisi di quella fu la Prima Guerra Mitridatica vanno però fatte delle fondamentali precisazioni. Innanzitutto dovremmo chiederci cosa garantisse al Ponto una potenza e un’influenza sufficienti a tentare la realizzazione di un tanto ambizioso progetto. Tra i vari motivi che possono essere individuati, ritengo vada dato un particolare risalto alla posizione geografica del regno che, controllando gran parte dei porti fondamentali del Mar Nero, arrivava già ad avere una potenza economica straordinaria, accentuata anche dall’eccezionale produttività dell’agricoltura locale. Inoltre, in quest’area di transito tra Oriente e Occidente, vi era una variegata selezione di truppe mercenarie d’élite, dai fanti galati agli arcieri cretesi e siriani, senza poi scordare gli immancabili opliti greci.

Altri motivi del successo iniziale della politica espansionistica mitridatica furono la tendenza culturale del regno alla Grecità, con cui il Ponto si accattivava le simpatie di un’Ellade ancora scontenta della dominazione romana, e la mancanza di una potenza influente nei territori del medio oriente, dovuta al declino dell’Impero Seleucide a cui non si erano ancora sostituiti efficacemente i Romani, i quali tra l’altro erano impegnati a fronteggiare una situazione critica per la Repubblica, minata da conflitti sia esterni che interni. Roma infatti, dopo aver ottenuto alcuni territori in Anatolia, dovette affidarsi a stati limitrofi alleati per garantirne la difesa (tra cui la Bitinia e lo stesso Ponto sotto Mitridate V), in quanto le forze dell’Urbe dovettero necessariamente essere concentrate negli scenari della Guerra Giugurtina – a cui seguirono le invasioni di Cimbri e Teutoni – e della Guerra Sociale che, insieme ai i primi scontri tra Optimates e Populares, favorì la rapida ascesa di Lucio Cornelio Silla, grande protagonista dell’imminente conflitto con il Ponto. Fu quindi durante questa vera e propria crisi della Repubblica che i Pontici presero le armi, riuscendo repentinamente a liberare, seppur per breve tempo, gran parte dei territori orientali occupati da Roma nell’arco di più di un secolo.

Uno degli aspetti certamente più interessanti delle Guerre Mitridatiche, infine, fu il carattere culturale che questi conflitti assunsero, contrapponendosi infatti due concezioni della realtà e, soprattutto, della politica assai diverse e per certi aspetti complementari: quella dell’Oriente greco e quella dell’Occidente romano.

Prime Vittorie: Ponto Conquista l’Anatolia (89-88 a.C.)

La guerra iniziò nell’89 a.C. con Mitridate VI sul trono del Ponto. Perseguendo una violenta politica espansionista di stampo anti-romano, e grazie all’alleanza con Nicomede III di Bitinia, egli riuscì ad annettere al suo regno molte aree limitrofe. Tra queste v’erano numerose regioni costiere del Mar Nero orientale e la Galazia, proprio nel mezzo dell’Anatolia (attuale Turchia). I due re entrarono in contrasto quando dovettero stabilire come spartirsi la Cappadocia. Questa, infine, fu resa un regno indipendente dall’intervento di Roma in qualità di mediatrice. Deluso dall’esito della contesa Mitridate strinse una solida alleanza con il potente regno dell’Armenia, governato da Tigrane, al fine di tentare l’invasione della regione. Con le spalle al muro, a causa delle insufficienti forze dell’Urbe in loco, i commissionari romani presenti in Asia Minore spinsero Nicomede IV, nuovo re della Bitinia, a prendere le armi contro l’ex alleato del padre. Lo scontro avvenne nei pressi del fiume Amnia, in Paflagonia, regione anatolica che aveva la sfortuna di trovarsi proprio tra il Ponto e la Bitinia. I Pontici con circa circa 40000-60000 uomini (una piccola frazione del loro esercito, la cui parte restante era stata inviata contro le provincie romane d’Asia e Cilicia) si ritrovarono, sotto la guida dei generali Neottolemo e Archelao, a fronteggiare in inferiorità numerica i 56000 o più Bitini di Nicomede. La battaglia fu una prova irrevocabile della grande esperienza bellica dei Pontici; nemici di tale portata non si erano mai contrapposti ai Romani fin dai tempi delle Guerre Puniche. Neottolemo occupò con la sua fanteria leggera un’altura, costringendo Nicomede ad inviare gran parte delle forze di cui disponeva per averne ragione; intervenne allora Archelao sulla destra, bloccando i nemici per un tempo sufficiente da permettere il ritorno delle truppe in fuga, che assieme alla cavalleria aggirarono e attaccarono i Bitini alle spalle. Decisivo a quel punto fu l’intervento dei carri falcati pontici: gli uomini di Nicomede non avevano mai visto simili macchine da guerra in azione e ne rimasero terrorizzati, volgendosi irrimediabilmente in ritirata. Mitridate, come in molte altre occasioni, si dimostrò magnanimo nei confronti dei prigionieri, ponendosi così agli occhi del mondo come un pio difensore della Grecità. Dopo altri eventi di poco conto l’esercito del Ponto sconfisse i 40000 fanti e 4000 cavalieri romani di Marco Aquilio nei pressi del castellum di Protophachium. La fuga di Aquilio terminò in tragedia quando gli abitanti di Mitilene, su cui certamente la propaganda di Mitridate aveva sortito gli effetti sperati, lo consegnarono ai Pontici. Con i Romani fuori dai giochi e Nicomede fuggitivo bastò poco tempo a Mitridate per impossessarsi di quasi tutta l’Anatolia. Con estrema facilità prese la Panfilia, la Frigia, la Misia, le provincie romane di Asia e Cilicia, la Licia e la Bitinia, per poi spingersi fino alla Ionia; gran parte dei territori e delle città si consegnarono a lui volontariamente. Dal re fu inoltre organizzato un’efferato sterminio della popolazione romana (morirono dagli 80000 ai 150000 individui, cifre enormi per l’epoca) delle regioni occupate che, se da un lato gli permise, grazie alle ricchezze incamerate, di esentare dalle tasse i nuovi sudditi per ben cinque anni, dall’altro attirò decisamente le attenzioni di Roma, la cui ira presto si sarebbe riversata sui Pontici.

Nell’Egeo: l’Assedio di Rodi (88 a.C.)

Con l’Anatolia finalmente in suo possesso il successivo obiettivo di Mitridate fu certamente la Grecia, dove era caldeggiato un suo intervento in qualità di “liberatore” dalla dominazione romana. Tuttavia, prima di coronare anche quest’impresa, il re del Ponto tentò di soggiogare quello che era ormai l’unico alleato fedele dei Romani a Oriente: Rodi. L’isola non aveva certo la fama di essere una terra facile da conquistare, anzi ancora si ricordava la sua tenace resistenza all’assedio di Demetrio I, tanto che pareva una follia tentare di attaccare colei che era sfuggita all’Elepoli (“conquistatore di città”). L’assalto di Mitridate infatti non ebbe l’esito sperato e anche se nello scenario bellico questa battaglia non fu certo decisiva, pare comunque giusto analizzarla per mero interesse alla strategia adottata: i Rodii, avendo accolto quei superstiti Romani sfuggiti via mare allo sterminio in Anatolia, sapevano fin troppo bene cosa li attendeva, e si affrettarono a far terra bruciata all’esterno delle mura laddove era possibile sbarcare e dare per terra assedio alla cinta muraria. Quando la flotta militare di Mitridate comparve all’orizzonte, la città era pronta a resistergli. I Rodii uscirono con la loro celebre flotta per affrontare le navi pontiche, ma spaventati dal tentativo di accerchiamento messo in atto da Mitridate, le cui forze erano superiori per numero, si ritirarono nei porti e si schierarono sulle mura. Dopo che il re ebbe posto il campo sulla terraferma, nei pressi della fortezza, si susseguirono una serie di schermaglie e piccoli scontri anche navali tra Pontici e Rodii, favorevoli quasi sempre ai secondi che in mare godevano di una secolare esperienza. Così l’assedio si protrasse tra assalti e sortite finché non giunse la notizia dell’arrivo dell’esercito terrestre del Ponto, trasportato da navi mercantili e triremi; i Rodii sapevano bene che se quella flotta fosse sbarcata qualsiasi loro resistenza sarebbe stata vana. Aiutate da una tempesta che aveva disperso le navi pontiche, le navi di Rodi uscirono in massa dai porti della città e causarono gravi perdite all’esercito in arrivo. Mitridate non si diede per vinto e, memore dell’impresa di Alessandro a Tiro, radunò tutte le sue truppe per l’assalto finale con l’intenzione di attaccare i nemici su ogni fronte. Di notte le forze navali pontiche si approcciarono alle mura con una Sambuca (macchina d’assedio creata per assaltare una cinta muraria dal mare) mentre sull’isola, da un’altura vicina al centro abitato, le truppe di terra tentavano di aprirsi una via attraverso le fortificazioni. I Rodii si fecero trovare pronti e, combattendo con impeto fino all’alba, respinsero ogni assalto finché la Sambuca non crollò sotto il suo stesso peso, spingendo Mitridate ad abbandonare l’impresa. Come già detto questa sconfitta non minò particolarmente la considerazione di cui Mitridate godeva presso i Greci, anzi ad Atene un colpo di stato dell’epicureo Aristione ridusse la città in suo potere e mentre i Pontici occupavano le maggiori isole dell’Egeo si schieravano dalla loro parte Spartani, Achei, Beoti e altri Greci. E’ sorprendente notare come nel pieno dell’espansionismo romano sia stata possibile, da parte del sovrano di un modesto regno asiatico, una tale repentina conquista di territori per cui tanto duramente l’Urbe aveva lottato e per cui a breve sarebbe scesa nuovamente sul campo di battaglia.

La Riscossa di Roma: Quinto Bruzzio Sura

Correva già l’87 a.C. quando, dopo solo due anni di guerra, le navi di Mitridate e i suoi eserciti portarono i vessilli del Ponto nell’Egeo e in gran parte della Grecia continentale. La rapidità sconcertante di tali conquiste, unita alla Guerra Civile e alla tardiva conclusione della Guerra Sociale, a loro volta precedute da altri innumerevoli conflitti, avevano paralizzato Roma rendendola incapace di opporsi ai nemici in Oriente. Il regno di Mitridate prosperava. La fragilità delle opposizioni che il re aveva incontrato durante la prosecuzione del suo progetto espansionistico gli avevano dato l’opportunità di dedicarsi anche alla politica interna. Spostò la capitale a Pergamo e divise il regno in 3 province per facilitare l’integrazione delle aree recentemente annesse. Nel mentre, con il ristabilimento di un seppur precario equilibrio nel suo scenario politico, Roma preparò il contrattacco affidando l’impresa alle capaci mani di Lucio Cornelio Silla, già eroe della Guerra Sociale. Appena prima dell’arrivo in Grecia del futuro dictator vi fu, in vero, un altro tentativo abbastanza riuscito di opposizione ai Pontici ad opera di Quinto Bruzzio Sura, legato del pretore di Macedonia (infatti le armate di Mitridate non si erano spinte fino in Macedonia, dove ancora rimanevano di stanza delle legioni). Sura riuscì, sia sul mare che sulla terraferma, a infliggere alcune sconfitte a varie guarnigioni nemiche e persino ad un esercito comandato da Archelao. Il legato fu costretto a ritirarsi quando anche gli Spartani si unirono alle forze del generale pontico, tuttavia grazie al suo intervento i nemici furono respinti fino alla Beozia e all’Attica, regioni che sarebbero poco dopo state scenario di ben più grandi battaglie.

Silla Entra in Scena: L’Assedio di Atene (87-86 a.C.)

Attraversato l’Adriatico e sbarcato in Grecia, mentre Sura era di ritorno dalla sua spedizione, Silla non perse tempo e si assicurò celermente la fedeltà di tutte le regioni a nord della Beozia. Nel mentre Archelao e Aristione, consapevoli di non potersi opporre alle cinque legioni dei Romani in campo aperto, si arroccarono nell’unica città che avrebbe potuto resistere all’impeto di un tale esercito. Questa era Atene, all’epoca enorme e quasi inespugnabile, con mura alte 17 metri; come se non bastasse gran parte della forza della città era dovuta alla vicinanza del porto fortificato del Pireo, distante circa 6 km. Senza perdere tempo Silla penetrò in Beozia e poi in Attica, preparandosi all’imminente assedio. Ovviamente il Pireo era l’obiettivo principale: da lì i Pontici, che ancora dominavano il mare, potevano ricevere costanti rinforzi e comunicare con Mitridate stesso, dedito a governare il suo nuovo regno. Solo un piccolo contingente romano assediava attivamente Atene mentre la maggior parte degli effettivi operava nell’area del porto. Archelao, a capo della guarnigione del Pireo, riuscì a tenere per molto tempo in scacco i Romani, grazie a continue sortite che nella maggior parte dei casi si rivelavano vittoriose, portando alla distruzione di molte macchine d’assedio. Silla, con la sola consolazione di aver ottenuto qualche modesta vittoria, si ritirò per svernare ad Eleusi. Giunsero allora le notizie di un esercito pontico che, comandato da Ariarate, figlio di Mitridate, aveva varcato l’Ellesponto e si preparava a scendere in Grecia. La situazione per i Romani era disperata. L’unico vantaggio che Silla aveva sui nemici era la presenza di due traditori al Pireo che lo informavano di tanto in tanto delle imminenti sortite. Appena fu possibile i Capitolini, spaventati dalla possibilità dell’arrivo di Ariarate, ripresero l’assedio con ancora più impeto. Silla ordinò di scavare una fossa per isolare ancor più la città e confiscò ricchezze dai santuari greci, suscitando il malcontento della popolazione. Le ricchezze accumulate finanziarono i nuovi assalti che portarono alla distruzione di una torre e di due segmenti di mura del Pireo. Archelao rispose con decisione tanto da costringere i Romani ad abbandonare l’assedio del porto per concentrarsi sulla città. Atene fu in poco tempo ridotta alla fame, tanto che pare si verificarono casi di antropofagia; a Silla giunse allora voce della trascuratezza delle difese nel settore delle mura chiamato Eptacalco, cosa che lo spinse ad adottare una tattica più aggressiva. Bastò un deciso attacco notturno e i Romani riuscirono ad occupare la città dandosi poi al saccheggio e allo sterminio: Mitridate in precedenza aveva condotto enormi genocidi ai danni dei Capitolini in oriente, e ora era giunto il tempo della vendetta. L’eccidio della popolazione ateniese fu così efferato e meticoloso che per le vie della città iniziarono a scorrere fiumi di sangue. Poco dopo fu occupata anche l’acropoli e fu catturato Aristione. Rimaneva solo il Pireo. Silla, forte dalla vittoria appena ottenuta, fece costruire un numero impressionante di macchine da guerra e assaltò nuovamente il porto. A nulla valsero le difese che Archelao era riuscito a mettere a punto. In breve i legionari, coperti dal continuo lancio dei tiratori nelle loro retrovie, penetrarono le mura. Un assalto condotto con tali mezzi e tale determinazione non aveva lasciato dubbi al generale pontico che, certo della sconfitta, si era imbarcato alla volta della Tracia dove avrebbe preso il posto di Ariarate, morto di malattia, al comando dell’esercito in arrivo dal nord. Silla, preso il porto, dimostrò ancor meno pietà che ad Atene e non si fece troppi scrupoli a raderlo completamente al suolo. In breve entrambi i generali iniziarono i preparativi per confrontarsi nuovamente sul campo di battaglia.

Faccia a Faccia: La Battaglia di Cheronea

Proprio a Cheronea, già celebre scenario di un momento cardine della storia greca, si svolse la più grande battaglia campale di questa guerra. Occupate Atene e il Pireo, Silla, sapendo di non poter lasciare troppo a lungo Roma nelle mani dei suoi avversari politici, si dimostrò impaziente di chiudere una volta per tutte la questione pontica. Al contrario Archelao cercava per quanto possibile di rimandare quella che, probabilmente, sarebbe stata la sua ultima possibilità di assicurare a Mitridate il controllo sulla Grecia continentale; inoltre, perseverando in questa attesa, il generale tentò seppur senza successo di isolare i Romani in un territorio a loro ostile. L’audacia di Silla determinò allora lo spostamento dello scenario bellico in Beozia, costringendo Archelao a confrontarsi con i nemici in campo aperto. Riunite le sue truppe il generale romano occupò il colle Filobeoto, a poca distanza dall’armata pontica. Per un po’ gli eserciti evitarono lo scontro; nel mentre Silla costrinse i suoi a svolgere lavori faticosi in preparazione alla battaglia, così da distogliere la loro attenzione dalla netta superiorità numerica dei nemici; allo stesso tempo Archelao mise alla prova i Pontici inviando dei distaccamenti a occupare il Monte Turio e Cheronea, la città fu tuttavia difesa con successo dai Romani. Al di là di queste timide offensive il generale di Mitridate riconfermò la sua linea difensiva, dando così a Silla l’opportunità di fare la prima mossa. Rapidamente il Romano portò il suo esercito tanto vicino all’accampamento di Archelao ch’egli fu costretto a venire alle armi su un terreno stretto, accidentato, certamente non adatto alla compattezza della falange e all’azione degli eccellenti reparti di cavalleria pontica e scita.

Le 5 legioni romane supportate da vari alleati (in totale circa 40000 uomini), occupavano una posizione vantaggiosa, ritrovandosi pur sempre in netta inferiorità numerica contro ad un variegato esercito di 80000 soldati provenienti dai più esotici luoghi del Medio Oriente. Archelao ordinò la carica dei sui carri falcati, dando inizio allo scontro vero e proprio, non appena gli fu comunicato che i Romani avevano scacciato i suoi dal Monte Turio (sulla destra dello schieramento pontico). Questo primo attacco si rivelò del tutto inefficace, infatti, tra gli scherni della retroguardia romana, i carri, decisivi pochi anni prima presso il fiume Amnia, furono facilmente neutralizzati. Mentre lo scontro tra legionari e falangiti si accendeva al centro e presso il Turio (sinistra romana), Silla tentò di condurre la sua cavalleria in aiuto proprio sul fronte del monte, lasciando così scoperta l’ala destra della formazione romana che fu attaccata dalla massa delle riserve pontiche. Il generale fu così costretto a tornare indietro rinforzando quel settore dove il crollo dei Romani pareva ormai imminente. In breve, grazie alla versatilità della loro cavalleria e al fitto lancio dei pila, i Capitolini ebbero la meglio su ogni fronte costringendo le forze di Archelao alla ritirata. La fuga disperata dei Pontici fu ostacolata dal terreno accidentato e dall’esitazione del loro generale ad aprirgli le porte dell’accampamento, entro cui riuscirono in fine a far breccia anche molti uomini di Silla che fecero una strage dei nemici. I molti errori di Archelao e la sua scarsa intraprendenza gli fruttarono la perdita di quasi tutto l’esercito, e così il generale sconfitto fu costretto a ritirarsi presso l’isola di Eubea con poco più di 10000 uomini. In quel momento parve che Silla fosse riuscito a costringere in ginocchio il nemico orientale. Fu tuttavia questione di giorni perché si sapesse dell’arrivo di un ultimo esercito pontico dall’Anatolia, sotto la guida di Dorileo, e delle legioni del nuovo console Lucio Valerio Flacco, apparentemente indirizzate proprio contro Silla, ritenuto ormai troppo potente dalla fazione dei Populares.

Cala il Sipario: Orcomeno e Dardano

In una situazione così critica a Silla non rimase nulla da fare se non attendere le mosse degli avversari arroccandosi nella regione a tale scopo più adatta: la Ftiotide, nei pressi della Tessaglia (in Tessaglia era previsto l’arrivo di Flacco). Giunse l’estate e con essa lo sbarco in Eubea di Dorileo e dei suoi 80000 Pontici. Ricongiuntosi ad Archelao il nuovo generale condusse nuovamente i Pontici sulle coste della Beozia. Dall’incertezza dei due sul da farsi, visto il contrasto tra l’impazienza di Dorileo e la cautela caldeggiata da Archelao, nacque la possibilità per Silla tornare indisturbato nella regione per poi logorare l’armata pontica in alcuni piccoli scontri. Siccome i nemici godevano di un vantaggio numerico ancora più netto rispetto che a Cheronea, e l’ampia pianura, nei pressi di Orcomeno, in cui avevano posto il campo pareva un terreno perfetto per l’azione delle loro cavallerie, Silla ordinò ai suoi di scavare delle trincee ai lati del campo di battaglia con lo scopo di limitare gli svantaggi che gli erano dati dal territorio. Fu allora che Archelao ordinò un massiccio assalto, che, travolgendo gli operai romani e molti dei legionari che erano accorsi, arrivò molto vicino a causare la rotta definitiva dei Capitolini. Fu solo il tempestivo intervento di Silla, che caricò personalmente i nemici, a salvare la situazione arrestando la ritirata dei suoi. Padrone del campo di battaglia, Silla poté continuare indisturbato i preparativi finché i Pontici non abbandonarono il loro accampamento per dare inizio al vero e proprio scontro. I Romani si schierarono su tre linee attendendo la mossa di Archelao, che ruppe gli indugi ordinando l’attacco ai suoi 70 carri falcati. Allora la prima linea, come pianificato da Silla, si ritirò verso la seconda scoprendo dei pali piantati nel terreno con lo scopo di spaventare i cavalli. Fu così che, trainati dagli animali, i carri si rivolsero verso la falange pontica, travolgendola e scompigliandone le fila. Nel mentre, dagli spazi tra le linee dei Romani, le cavallerie e le fanterie leggere dei Capitolini si riversarono contro le ali dello schieramento di Archelao, costringendole alla ritirata, seguite dalla falange, che fuggì sotto i colpi dei pila dei legionari. Questa vittoria straordinaria andò ad aumentare ancor più il prestigio e il peso politico di Silla che, poté constatare come il sogno di Mitridate si stesse finalmente sgretolando. Scoraggiato dalle continue rivolte nei suoi territori dall’apparentemente inarrestabile forza dei Romani, il re si decise ad inviare a Silla come legato Archelao, fuggito dalla disfatta di Orcomeno, per chiedergli la pace senza ulteriori azioni contro il Ponto, offrendo in cambio il suo sostegno militare nella lotta contro la fazione dei Populares. Silla rifiutò. La pace fu firmata solo nell’85 presso Dardano, dove il Romano impose a Mitridate la restituzione delle Provincie anatoliche ai Romani e la restituzione dei vari regni occupati ai sovrani precedenti, oltre che pesanti sanzioni pecuniarie e la cessione della flotta e di 500 arcieri.

Epilogo

Così presso Dardano si concluse questa guerra che aveva sconvolto per cinque anni il Mediterraneo Orientale. Tra le innumerevoli riflessioni che si possono trarre da questo evento mi preme particolarmente porre l’accento su una in particolare. Spesso pensando ai nemici di Roma ci si limita a immaginare alti guerrieri tatuati che combattendo a petto nudo si aprono la strada oltre il Reno e il Danubio, in direzione di ricche provincie da saccheggiare. Allo stesso modo richiamiamo alla memoria nomi come Attila, Vercingetorige o Alarico e a quelli ci limitiamo. Quest’abitudine è talmente cementata che anche il povero Annibale, unico uomo di un popolo del Mediterraneo che, all’ombra di Roma, abbia trovato l’immortalità nella mente dei più, è non di rado rappresentato o immaginato come un capoclan delle steppe. Mi pare dunque importante ricordare che avversari altrettanto agguerriti furono trovati dai Romani nei millenari popoli che si erano resi protagonisti della storia precedente (tra questi in primis Cartaginesi, Greci e Parti). E’ vero, queste potenze non combatterono tanto con il furore bellico dei soldati quanto piuttosto con l’arguzia di pochi generali e probabilmente anche per questo (fatta eccezione per i Persiani) furono presto o tardi definitivamente sconfitte, ma è altrettanto vero che le più umilianti sconfitte subite dai Romani furono quasi sempre il capolavoro di tali menti geniali. Certamente né Mitridate né i suoi sottoposti furono così abili strateghi sul campo di battaglia, ma per il loro intuito e la capacità di cogliere le occasioni tali personalità meritano certamente un posto d’onore in quella cornice di popoli e regni rivali che accompagna la grandezza della civiltà romana.

 

Mattia Rossi

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