Scontro tra modelli d’Occidente – La guerra del Peloponneso e il neo bipolarismo muscolare.

Scontro tra modelli d’Occidente – La guerra del Peloponneso e il neo bipolarismo muscolare.

Le recenti vicende belliche tra Russia ed Ucraina, sviscerate dalla propaganda delle due fazioni in gara e lette in chiave meta-contingente, mettono a nudo tutte le differenze tra due visioni contrastanti della realtà e due modelli divergenti del mondo, in un contesto rispetto al quale tanto di analogo ha da offrire il confronto con le vicende della guerra del Peloponneso.

Per cogliere il senso di questo aspetto, come premettevo, bisognerà avere la sensibilità intellettiva di cogliere quegli aspetti più profondi e nascosti della vicenda (appunto le meta-contingenze) così come il maestro della storiografia, Tucidide, ebbe la lucidità all’epoca di scindere tra προφάσεις, profáseis, i pretesti dello scontro peloponnesiaco, e le αιτίες, aitíes, le cause propriamente dette: tra l’analogia e la specularità rispetto al discrimine di Tucidide, in questa riflessione invito a scindere tra “le cause seconde”, ovvero le ragioni più prossime e manifeste, cagioni dirette dello scontro, e le “cause prime”, cioè le ragioni più profonde, più intime, più speculative dello scontro, dalle quali emerge la vera natura della conflittualità.

Partiremo dalle cause prime, quelle più profonde, per poi analizzare in ultima battuta le cause seconde, ovvero quelle più prossime.

1. Cause prime

Nel procedere in questo modo, pertanto, emerge un’incredibile analogia storica tra la nostra contemporaneità e il celebre sconto che cambiò per sempre il mondo ellenico.

Un’ultima premessa, prima di addentrarci nell’analisi, va fatta sul concetto di Occidente giacché, in questa mia riflessione, l’ho esteso alla Russia quando in realtà è fatto coincidere con il solo mondo atlantista.

Il concetto di Occidente e Oriente, come non sarà difficile comprendere, è un’applicazione convenzionale che viene adottata per adoperare un distinguo tra due parti contigue al fine di sottolinearne più manifestamente delle differenze che altrimenti non sarebbero percettibili, o che altrimenti verrebbero confuse. Un esempio storico, emblematico dell’arbitrarietà del concetto, è dato dalla dicitura “Impero romano d’oriente” tuttora utilizzata in maniera più o meno coincidente a quella di “bizantino” dalla storiografia convenzionale per rivolgersi ad un’entità politica, quella sopravvissuta alla caduta di Roma, che in realtà chiamava se stessa semplicemente Res Publica Romanorum (fino a Eraclio I o se non addirittura Maurizio), poi Βασιλεία των Ρωμαίων, Basileia tōn Romaiōn, Regno dei Romani, fino alla sua definitiva caduta nel 1453, senza appunto nessun riferimento all’aggettivo “orientale”.

Allo stesso modo, anche noi soliamo privare la Russia del suo concetto di Occidente semplicemente perché è un concetto storicamente attribuito, dal XX secolo in poi e con la sola esclusione della parentesi nazifascista, a tutte quelle nazioni dell’ovest europeo e del Nord America rette da democrazie liberali e strutturate sulla dialettica parlamentare e partitica, in contrapposizione ad una porzione di Europa dell’est retta dapprima da forme di governo assolutiste (l’impero zarista e l’impero ottomano), quindi da forme di governo totalitario (l’unione sovietica).

E questa distinzione ci pare ovviamente sensata, per ovvie conseguenze sociali, culturali, politiche e financo economiche che una simile contrapposizione poteva generare: ma siamo sicuri che sia ancora così?

La Russia, già con Eltsin e poi definitivamente con Putin, sin dalla caduta dell’Unione Sovietica del 1991 ha avviato un graduale processo di occidentalizzazione: questo è palesemente manifesto non soltanto nell’adozione di un modello politico parlamentare (pur con tutte le contraddizioni, per carità, ma sarebbe poco cosciente della realtà politica russa pensare che non ci sia una minima dialettica interna) e nella liberalizzazione dell’economia – con la nascita di compagnie private e/o semiprivate -, ma altresì nello stile di vita che ha via via – con la diffusione di usi e costumi tipicamente occidentali – “contagiato” la società russa, avvicinandola a noi più di quanto le vicende politiche vogliano fare credere: a tal proposito, si potrebbe parlare di una Russia che è sì parte dell’Occidente, ma di cui rappresenta un modello differente, sostenuto da una visione diversa. Un altro Occidente insomma.

Ed ecco che, definita la Russia in questo modo, l’analogia con la guerra del Peloponneso può essere ora più comprensibilmente spiegata: all’epoca ci si ritrovò infatti di fronte ad una contrapposizione tra due modelli e visione di grecità, Atene ed i suoi alleati (Lega Delo-Attica) contro Sparta ed i suoi alleati (Lega Peloponnesiaca); oggidì la contrapposizione è tra due modelli e visione di Occidente, da una parte gli Stati Uniti ed i suoi alleati (NATO), dall’altra la Russia (sola tra gli occidentali e costretta quindi ad alleati palesemente fuori dal concetto politico e geografico di Occidente).

1.1 Le similitudini tra USA e Atene

Gli USA sembrano vestire bene i panni dell’Atene post litteram: personalmente ho sempre storto il naso quando mi sono imbattuto nei parallelismi storici tra Stati Uniti d’America e l’impero romano. Ravviso una distanza abbastanza strutturale dal punto di vista d’assetto costituzionale tra le due realtà, in quanto nella Roma imperiale mancavano tanti elementi di dialettica interna (partiti, dimensione e peso del suffragio sull’azione politica, scontro tra modelli economici interni) ed esterna (complessa rete diplomatica tra entità politiche indipendenti e di pari dignità, cioè non barbariche) che invece coinvolgono gli Stati Uniti. Qualche analogia in più mi pare ravvisabile tra USA e la Repubblica Romana, dal IV secolo a.C. fino a Cesare, proprio perché era caratterizzata da una presenza molto più vivace di tutti quegli elementi di dialettica predetti (si pensi alla questione dei Gracchi come divergenze di modelli economici, alla complessa struttura di rapporti con Socii e Alleati costituenti altre nazioni non barbariche autonome cui relazionarsi diplomaticamente, al peso del suffragio che portava all’elezione di cariche apicali decisive politicamente et similia).

Risulta dunque molto più calzante – benché non se ne parli così frequentemente- il parallelismo tra Stati Uniti d’America e l’Atene che va dalla fine della prima guerra persiana sino all’ascesa di Alessandro Magno.

Difatti,

  • ambedue le nazioni si sono ritagliate il ruolo di regine della pluralità e del multiculturalismo: Atene allora, come gli USA oggi, era la meta ambita da quanti volessero “svoltare” nella vita, la città di cui da lontano si udiva delle possibilità che offriva a chi volesse commerciare qualcosa, esprimere una forma d’arte, conquistare platee con l’azione retorica e dialogica, guadagnarsi da vivere con dignità come non era possibile in patria;

  • ambedue le nazioni sono state riconosciute come delle talassocrazie, con le dovute distinzioni proporzionali: Atene sui mari, gli USA sugli oceani;

  • ambedue sono state riconosciute come il faro della democrazia e del mondo libero;

  • ambedue si sono trovate a ricoprire il ruolo di egemoni tra le parti, id est di guide carismatiche ed influenti sull’intero computo degli alleati, a mo’ di una grande fetta di torta che da sola per dimensione basta ad eguagliare la totalità delle restanti parti in causa: si può infatti asserire senza dubbi che la volontà degli Stati Uniti costituisca per più della metà l’indirizzo politico della NATO, esattamente come quella di Atene per la Lega Delo-Attica.

Tuttavia, non si può tra le analogie evidenziare altresì una sorta di analogia alle contraddizioni come veicolo di comunità tra le due entità politiche: non è tutt’oro ciò che luccica. Va sicuramente riconosciuto che rispetto ai propri alleati, tanto Atene quanto gli USA seppero ritagliarsi la propria leadership grazie non soltanto al dinamismo propositivo con cui si adoperarono per riunire i propri alleati, ma altresì perché veniva da questi a loro riconosciuta la giusta superiorità militare e diplomatica, la quale speravano potesse guidarli verso la protezione (i delo-attici dai persiani, gli Atlantisti dalla gorgone sovietica) e prosperità economica e sociale.

Però ben presto, tanto i Delo-attici quanto gli Atlantisti, hanno avuto modo di iniziare a dubitare di alcune cose:

  • in primis, che il fine dell’alleanza non fosse che quello di avvantaggiarsi del contributo degli alleati per rafforzare i propri interessi nazionali: si veda la polemica dei delo-attici sul tesoro comunitario spostato ad Atene e di cui la città usufruiva per la costituzione di un proprio arsenale navale, oltreché la polemica sul contributo economico richiesto, ritenuto ingente. E da quest’altro lato, si vedano le critiche che gli atlantisti, specialmente l’Italia durante gli anni ’90 trainata dal pentapartito a guida PSI, hanno avanzato rispetto ad alcune delle posizioni NATO, specialmente sulla gestione del Medio Oriente ed in generale sul mondo panarabico;

  • in secundis, iniziarono a dubitare, lì come qui, che tutta questa decantata eccellenza democratica non fosse soltanto che una tirata a lucido di facciata, a causa dei retroscena non propriamente lineari nel processo di elaborazione democratica della proposta politica: si pensi, per Atene, alla strumentalizzazione degli ostracismi, usati come purghe anziché nella ratio per cui furono istituiti; agli scandali di Alcibiade, ai processi di Pericle, da quella parte; per quanto riguarda gli USA, tante ombre avvolgono il ruolo del Deep State nel retroscena dello svolgimento dell’attività democratica, si pensi all’omicidio di JFK, al Watergate di Nixon, ad alcune ombre sulla legittimità degli interventi militari nella seconda metà del Novecento.

In sintesi insomma, tanto Atene quanto gli USA hanno giocato il ruolo storico di perni di vitalità e della diversità, fulcri dell’arte, della musica, dei saperi, terre di ospitalità e di accoglienza per chiunque (il concetto ellenico di φιλοξενία par excellence è l’Atene del V secolo)… però costantemente inquinate – basti leggere tutto il filone degli intellettuali polemici attivi all’epilogo della guerra del Peloponneso, per esempio Socrate, Crizia, Aristotele l’Ateniese, Senofonte il politico – dalla corruzione interna e dalla tracotanza esterna, per i più critici manifesto dell’ipocrisia che si cela dietro la maschera delle buone intenzioni e della superiorità morale.

1.2 Il parallelismo tra Sparta e la Russia

Sparta allora raccoglieva intorno a sé quei Greci espressione di un diverso modello di grecità, caratterizzato da austerità, collettivismo, ordine, disciplina, chiusura interna e conservatorismo rispetto ad una tradizione gelosamente osservata e custodita (con ovviamente le differenze di specie). Ambedue le realtà sono paragonabili per aver fatto delle forze terrestri il loro punto di forza sul piano bellico e strategico, causa del timor nemico vista la loro dedizione bellica con cui si immergevano in addestramenti rigidi ed austeri.

La Russia, certamente, pare essere più isolata nel rappresentare “un altro Occidente” di quanto non lo fosse Sparta nel rappresentare un’altra grecità: e lo è sicuramente sul piano delle relazioni internazionali, non avendo che interlocutori ed alleati i quali, come ho predetto, sono lontani geograficamente e culturalmente dal poter essere definiti occidentali. Sparta, al contrario, poteva contare su molte poleis del Peloponneso.

Ciononostante, la Russia dei giorni nostri, un po’ zarista un po’ reazionaria, legata ai valori dell’ortodossia, sembra essere il modello di riferimento trasversale di tantissimi cittadini occidentali, dall’Europa alle Americhe (nelle quali ultime vengono col tempo via via superandosi i dogmi negativi del maccartismo che ne avevano caratterizzato la cesura nel passato).

Questi cittadini, da ogni dove dall’Occidente atlantista, non si riconoscono più nella dialettica democratica delle loro nazioni, ai loro occhi ridottasi alla contrapposizione tra sinistra progressista e destra liberista, accusate di essere comunemente appiattite su molti temi, tanto da ricorrere all’espressione “pensiero unico” per definirne la simbiosi. Per tali ragioni, costoro guardando alla Russia come modello di quell’austerità e tradizione (più o meno mitizzata) ché faccia da argine a quella che -ai loro occhi- risulta essere la degenerazione dei costumi del mondo occidentale-atlantista moderno, cui la dialettica democratica dei loro Paesi è ai loro occhi asservita ed incapace di dare risposte, pur consapevoli di quanto molto più rigido e illiberale sia il modello cui guardano e di cui la Russia è portatore, sul piano della libertà d’espressione come delle altre liberalità.

2. Cause seconde

Venendo alle ragioni più spicciole e immanenti, Sparta e la Russia sono accomunate dall’ aver dichiarato guerra alla controparte (Sparta direttamente ad Atene ed i suoi alleati, la Russia indirettamente agli USA ed alleati mediante l’aggressione dell’Ucraina) perché ambedue si sono sentite, ad un certo punto della storia, aggredite dall’eccessivo espansionismo dei propri nemici, accusati di aver iniziato ad inglobare sempre più partner nella propria sfera di influenza.

Sparta denunciava Atene, come si legge in Tucidide, per aver supportato la causa di Corcira contro gli interessi dei Corinzi, i quali ultimi erano membri della Lega Peloponnesiaca. La denunciavano inoltre per aver applicato sanzioni contro Megara, in una sorta di mini embargo, per delle ragioni pretestuose.

Era palese, agli occhi di Sparta, che il supporto di Atene ai Corciresi ed il blocco navale a Megara avesse un unico fine, quello di accerchiare Sparta togliendole silenziosamente terreno da sotto i piedi per poi, in un futuro prossimo, colpirla direttamente.

Allo stesso modo, anche oggi la Russia invade l’Ucraina perché sentitasi accerchiata dall’incessante avanzata della NATO che, nel corso degli anni, ha inglobato tutte quelle ex repubbliche sovietiche confinanti con la Russia.

Queste ex repubbliche sovietiche, immediatamente prossime territorialmente alla Russia, per quest’ultima dovrebbero imprescindibilmente rimanere fuori dalla dimensione atlantista, lembi di terra che se proprio non vogliono esserle alleate devono quantomeno tenersi fuori dall’allearsi col nemico.

Curioso come, tanto Atene quanto gli Stati Uniti, si sono ritrovati ad essere perfettamente consci dell’immensa potenza di fuoco dei propri nemici, risolvendosi a scommettere ambedue sia sulla superiorità economica (Atene tentò con la sua flotta incontrastabile di tagliare ogni forma di rifornimento al Peloponneso; la NATO pensa a ingenti sanzioni per la Russia) sia sul posizionamento strategico (la Lega Delo-Attica aveva attanagliato il Peloponneso così come la NATO la Russia) più che sul confronto diretto militare.

Come sia andata a finire la guerra del Peloponneso, è storia. Ci auguriamo ovviamente di non conoscere mai come vada a finire un conflitto totale tra USA e Russia.

Michele Zabatta