Per una intelligence economico-finanziaria

Per una intelligence economico-finanziaria

É ormai da tempo noto come la globalizzazione (economica, in primis) abbia portato a vasti squilibri nelle economie nazionali pure dei paesi di stazza globale. Ne fu sintomo la crisi del 2007-2008, che oltre alle note conseguenze socioeconomiche che hanno segnato una generazione, mise oltremodo in evidenza la totale inadeguatezza degli apparati di controllo e gestione di flussi finanziari e istituti (para)bancari degli Stati Uniti; fu così che nessuno si avvide della rapidissima destabilizzazione dell’economia reale che veniva vieppiù assoggettata ai nuovi strumenti finanziari generati per rendere possibili speculazioni ad altissimi margini di rendimento. Questo è solo un caso lampante della vasta influenza che il mondo economico-finanziario ha per la sicurezza nazionale di ogni paese. Un’ottica securitaria intesa in senso stretto non è più adeguata per la grande complessità delle minacce, ormai sovente di natura ibrida o quantomeno multiforme, le quali tutti i maggiori attori internazionali debbono fronteggiare quasi quotidianamente. Si pensi anche solo ad uno dei maggiori fenomeni terroristici dell’ultimo decennio, ISIS. Un’organizzazione terroristica che certamente ha agito secondo modi operandi “classici”: attacchi convenzionali, mobilitazione propagandistica, approccio anche finanziario alla guerra, etc. Eppure ISIS ha portato alla luce tematiche di tipo sociale (si pensi ai sobborghi terra di nessuno dell’Europa nordoccidentale), di tipo mediatico (relativo ai nuovi mezzi di propaganda), e via dicendo. Per fronteggiare un mondo sempre più cangiante e le relative minacce all’integrità di un Sistema-Paese, un solo modo di intendere l’intelligence, erga omnes, non è più sufficiente né auspicabile. Ciò si riflette nel fatto che non esistono quasi più settori di un Sistema-Paese che non hanno rilevanza in un’ottica di sicurezza nazionale, come peraltro alcuni grandi paesi hanno già compreso. Una diversificazione del modo di intendere l’intelligence, e conseguentemente degli apparati di intelligence, è inderogabile.

L’intelligence nel XXI secolo

Il mondo all’epoca della guerra fredda era, su scala globale, abbastanza semplice: da un lato della cortina si trovavano paesi alleati e amici, dall’altro il nemico, semisconosciuto e temuto quasi fino all’isteria (come dimostra la vicenda maccartiana). Dal punto di vista dell’intelligence, si trattava di un mondo in cui era la penuria di informazioni ad essere la costante di fondo di chiunque lavorasse in quel mondo. Difatti, entrare in paesi ostili era praticamente impossibile per ambo le fazioni, figurarsi raccogliere informazioni rilevanti. Tuttavia, quel poco che si riusciva ad inviare oltrecortina era solitamente abbastanza affidabile, frutto del lavoro certosino di infiltrati costantemente in pericolo di essere scoperti. Ad oggi, invece, questa condizione non sussiste più. Dal punto di vista occidentale, ormai quasi ogni paese è accessibile per gli apparati di intelligence, fatta eccezione per la Corea del Nord, l’Iran e qualche altro paese[1]. Al contrario, oggi è l’abbondanza di informazioni ad essere una costante, e il problema consiste nel riuscire a capire quali siano affidabili e quali no[2].

Nell’era delle tecnologie informatiche, ciò significa che i decisori saranno più dipendenti dagli apparati di intelligence per la raccolta, l’interpretazione e l’analisi delle informazioni[3]. É naturale che i decisori mantengano la propria dignità decisionale, ma è altrettanto evidente quanto un loro accesso diretto alle fonti, non mediato da professionisti della raccolta di informazioni e da analisti specializzati, porterebbe semplicemente ad un sovraccarico di informazioni e all’incapacità di capirne valore e significato[4]. Si tratta quindi di stabilire delle matrici operative standardizzate, calibrate sugli obbiettivi del Sistema-Paese e applicate anche nel lungo termine per compierli. Alcune di queste matrici operative si possono già abbozzare in questa sede, pur non pretendendo di esaurirne il potenziale concettuale[5]; avremmo quindi:

  • Matrice tattica vs. matrice strategica, laddove la prima è finalizzata all’ottenimento di risultati limitatamente ad un contesto spazio-temporale ben definito (dall’immediatezza al breve termine), mentre la seconda è necessaria per l’impostazione di (contro)misure di lungo termine e di rilevanza geoeconomica.
  • Matrice offensiva vs. matrice difensiva, essendo la prima intesa per l’espansione e l’accrescimento degli interessi nazionali in gioco, mentre la seconda mira a difenderli dall’altrui espansione.
  • Matrice governativa/statale vs. matrice privata, ove la prima ha la funzione di difendere gli interessi dello Stato medesimo nella sua conformazione territoriale-istituzionale, mentre quest’ultima mira a sostenere attori privati (anche a loro insaputa).

Senza assolutamente pretendere di voler esaurire la portata concettuale di queste proposte, si basti pensare ad alcuni esempi pratici che una componente d’intelligence economico-finanziaria potrebbe attuare operativamente; nel caso in cui ciò lo necessitasse, sarebbe ad esempio necessario e non esecrabile affidarsi a agenzie esterne di analisi per elaborare scenari plausibili riguardo una data contingenza economica nella quale si ritengano coinvolti gli interessi del Sistema-Paese. E ancora: l’interazione, sotto mentite spoglie o meno, con enti parabancari/parafinanziari di portata globale (si pensi alle agenzie di rating del credito sovrano) col fine di acquisire, modificare, disperdere o manipolare informazioni chiave rilevanti per il Sistema-Paese. Infine, la vera e propria instaurazione di società commerciali per effettuare operazioni “civetta”[6] (anche queste coinvolgendo privati ove d’uopo) volte a sondare le caratteristiche o le condizioni aziendali di imprese partecipanti ad appalti pubblici, a joint venture, investimenti stranieri diretti (FDI), etc.

É quindi necessario costruire una capacità analitica e operativa sistematica e allora stesso tempo più flessibile per quanto riguarda l’approccio in loco, ovvero senza aver timore di utilizzare fonti private e occasionali in base alla necessità, senza necessariamente doversi palesare nella propria identità istituzionale né nei propri fini[7]. Si parla pertanto di cambiamenti fondamentali del modo di intendere l’intelligence, rafforzando la componente analitica in modo massiccio, senza peraltro escludere analisti esterni eventualmente impiegati ad hoc; ciò è necessitato dalle nuove sfide dell’era contemporanea, come l’emergere di poteri privati parastatali (vedasi alcune delle più note multinazionali) non di rado anche dotati di capacità analitiche e d’intelligence proprie, volte ad accrescere il proprio soft power e rafforzare la propria posizione nell’economia politica globale. Questi e altri attori devono divenire i nuovi interlocutori e i nuovi bersagli dell’attività d’intelligence volta a rafforzare il Sistema-Paese in un’ottica che ormai deve andare oltre l’approccio securitario stretto, per offrire un armamentario di strumenti raffinato e capace di intervenire nella sfera politico-economica senza smagliature e con cognizione di causa.

 

Orlando Miceli

 

Note:

  • [1] Treverton, G., Reshaping National Intelligence for an Age of Information. In: RAND Studies in Policy Analysis, 2001, 93-104.
  • [2] Ibidem.
  • [3] Ibidem.
  • [4] Treverton, G., cit., 104.
  • [5] Cfr. Treverton, G., cit., 109-113.
  • [6] Cfr. Ortolani, M., Intelligence e controintelligence in campo finanziario: proposte per una piú stretta collaborazione fra servizi d’intelligence e settore privato. In: Sergio Germani, L. (a cura di), L’intelligence nel XXI secolo – Quaderni dell’istituto Gino Germani, XXI, 1-2-3, 2001.
  • [7] Cfr. Treverton, G., cit., 117-127.