Attilio Regolo, uomo politico e comandante militare della Roma repubblicana, è stato una figura di spicco nella prima guerra punica. Durante il suo secondo mandato consolare, viene incaricato dal senato di portare la guerra direttamente in casa del nemico, a Cartagine, per assestare il colpo di grazia alla metropoli nordafricana. Dopo un iniziale successo, la foga di concludere il conflitto prima che il partito pacifista si rafforzasse a Roma lo porta a imporre condizioni troppo severe ai nemici, che si riorganizzano, lo sconfiggono e lo fanno prigioniero. La sua storia è un esempio di lealtà verso la patria e di coerenza nel rispettare la parola data, perfino al nemico.
Un gabbiano spiccò il volo lanciando un verso stridulo. Il profumo di salsedine e la brezza leggera rendevano frizzante l’alba di Ostia. Attilio inspirò a fondo e chiuse gli occhi. Era ora di andare.
“Muoviamoci” si limitò a dire. Riaprendo le palpebre, si diresse verso la trireme ormeggiata. I marinai controllavano un’ultima volta le funi e i remi venivano calati in acqua da ciascun banco. Era quello l’aspetto del battello di Caronte? La domanda si insinuò nella sua coscienza mentre poggiava i piedi sulla passerella. Aveva onorato il suo impegno con Roma, ora doveva mantenere la parola data al nemico.
Lo scricchiolio del legname venne interrotto dallo scalpitare di zoccoli. Attilio si voltò con lentezza verso la banchina. Con un balzo, Metello smontò da cavallo e gli andò incontro trafelato.
“Comandante…non potete andare!”.
“Calmati Lucio, riprendi fiato”.
“Ma…”.
“È un ordine”.
Il tribuno strinse la mascella e inspirò a fondo un paio di volte. I suoi occhi scuri trasudavano serietà.
“Comandante, che accidenti vi salta in testa?” disse dopo un attimo.
“Faccio solo il mio dovere, Lucio, esattamente come tu fai il tuo”.
“Il vostro dovere è sconfiggere il nemico, non consegnarvi a lui!”.
Attilio posò una mano sulla spalla del tribuno e sospirò. “Facciamo due passi”. Entrambe gli uomini scesero dalla passerella. Percorsero in silenzio il pontile di legno fino a raggiungerne la fine. Il sole faceva capolino oltre l’orizzonte e gettava la sua rete di riflessi sull’acqua increspata.
“Comandante, non capisco. Siete tornato da Cartagine per convincere il senato a chiedere la pace, ci avete incitato a continuare la guerra…e ora tornate indietro per farvi ammazzare?”.
“Esattamente”.
Lo sguardo incredulo di Metello pose la domanda senza bisogno di parole: perché? Attilio sentì la gola stretta da un nodo. Strinse i pugni e deglutì. “I barbari sono deboli ora, Lucio, l’ho visto coi miei occhi. Non c’è posto sia per Cartagine che per Roma nel mondo, e questo è il momento di farla finita. Mandarmi qui è stato il più grande errore che potessero commettere, ma ho promesso che sarei ritornato da loro se avessi fallito nell’ottenere la pace”.
“Vi tortureranno e vi uccideranno in un modo orribile, comandante. Sono bestie, non siete vincolato da una promessa con loro!”.
Attilio alzò di scatto la mano destra verso il tribuno. “Non dirlo nemmeno per scherzo. Il rispetto dei patti è ciò che distingue un vero uomo da un animale, qualunque sia il costo. Puoi portare via ogni cosa a un individuo: la casa, la moglie, il denaro, la vita, ma non il suo onore. Quello sarà sempre suo, se intende mantenerlo”.
Metello aprì la bocca per replicare, ma la richiuse subito. Attilio gli scoccò un’occhiata in tralice, poi tornò a guardare il mare. Un brivido impercettibile gli scosse le spalle. Metello aveva ragione, l’avrebbero ammazzato in qualche orribile maniera, ma non poteva sottrarsi all’impegno preso. Inspirò a fondo cercando di ignorare il peso sullo stomaco e girò i tacchi per tornare verso la nave.
Un corvo volò gracchiando sopra il porto. Puntava a Sud, verso Cartagine.
Luigi Oriani
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